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'Vedersi vivere': il paradosso che fa impazzire
È sempre un piacere poter recensire uno dei capolavori letterari del grande Pirandello. E penso che la maniera migliore per iniziare sia citare l'autore stesso, che ha definito questo romanzo come il "più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita". Etichetta tanto breve quanto perfettamente calzante.
Il protagonista di questo testo ha le generalità di Vitangelo Moscarda, un uomo che sarà vittima di una profonda crisi esistenziale non appena la moglie gli dirà che ha il naso leggermente storto, immergendosi sempre più in "abissi di riflessioni e considerazioni che mi scavavano dentro".
Partendo dalla 'rivelazione' ricevuta dalla propria consorte, il protagonista svilupperà un intreccio di elucubrazioni che si riveleranno coincidenti con la poetica del Pirandello stesso;
Si parte dal fatto che ciascuno di noi vede se stesso in maniera diversa da come ci vedono gli altri, giungendo ad una sostanziale frammentazione dell'Io, che risulta valere 'nessuno' da un punto di vista oggettivo e valere 'centomila' se analizziamo singolarmente i punti di vista delle altre persone all'infuori di noi stessi.
Preso atto di questa inconfutabile verità, Vitangelo tenterà in ogni maniera di uscire da se stesso per poter finalmente 'vedersi vivere' con un occhio che non sia il suo: cambierà completamente modo di vivere, allontanando tutti i propri cari e giungendo ad una situazione di 'anticonformismo' quasi ridicolo, nichilista e paradossale. Ma tutto questo sarà inutile e vano.
Altro punto cardine del romanzo e della poetica pirandelliana riguarda l'antitesi fra i concetti di 'forma' e 'vita', con il protagonista che svestirà la 'maschera' affibbiatagli dalla società, e vivrà libero da ogni condizionamento esterno, non senza però essere ritenuto 'pazzo' da tutte le persone che lo avevano conosciuto per il suo 'ruolo' piuttosto che per il suo effettivo 'voler vivere a proprio piacimento'.
Generalizzando il concetto, si prende atto di non essere entità univoche, bensì di essere 'centomila sè stessi', in base alla visione soggettiva che ogni persona si è costruita riguardo noi stessi, ed il tentativo di voler guardare la propria vita 'dal di fuori' è solo il preambolo al sopraggiungimento della pazzia, perché è tanto vero quanto paradossale il fatto che ognuno di noi non conosca nè possa mai conoscere appieno sè stesso.
"Ciascuno vuole imporre agli altri quel mondo che ha dentro, come se fosse fuori, e che tutti debbano vederlo a suo modo, e che gli altri non possano esservi se non come li vede lui."
Accanto a questa concezione vitalistica della realtà, - tutta la realtà è vita, perpetuo movimento vitale, inteso come eterno divenire, incessante trasformazione da uno stato all'altro - Vitangelo realizzerà il fallimento del tentativo di liberarsi del suo ruolo attraverso la follia, perché rifiuterà ogni identità personale, incluso il suo stesso nome, e si abbandonerà allo scorrere mutevole della vita, «morendo» e «rinascendo» subito dopo, valorizzando l'infinita durata degli attimi, ed estraniandosi completamente dalla società e dalle forme alle quali essa ci relega.
Si tratta quindi di un romanzo da leggere a prescindere dai percorsi 'scolastici', sia per la novità tematica trattata nel testo, sia perché Pirandello è anticipatore di ciò che sarà il XX secolo in ambito letterario e filosofico. Un secolo che vedrà il trionfo del relativismo e la nascita della psicanalisi come 'antidoto (efficace?) ai mali dell'uomo moderno'.