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“La visione dell'irrimediabile nostra solitudine”
Nel via vai giornaliero che ci tartassa continuamente, nelle tante insignificanti incombenze per le quali corriamo e ci spossiamo, tra sbuffi e sospiri, ci sostiene la sicurezza che ciò che vediamo, compiamo, rincorriamo sia lo stesso che vedono, compiono, rincorrono gli altri; che la realtà che di continuo tocchiamo è la stessa che toccano gli altri. Ci sentiamo rincuorati dalla “consapevolezza” che vi siano dati di fatto, su cui non possiamo dubitare, come la conoscenza totale del nostro corpo. Ma se ci fermiamo un momento- un attimo, un attimo solo- e ci interroghiamo se ciò che pensiamo di essere sia lo stesso che gli altri pensano di noi, se la realtà che noi vediamo in un certo modo la vedano ugualmente gli altri. Allora cosa scopriamo? Che tutto ciò su cui abbiamo basato la nostra sicura esistenza è solo apparenza, illusione, disincanto perché in realtà l'individuo è come uno specchio frantumato, tanti frammenti che riflettono la stessa persona ma in sembianze sempre differenti. L'uno, diventa due, tre, centomila e proprio per questo nessuno, dal momento che all'interno dell'uno si intravede solo un amalgama irriconoscibile di tanti “sosia”, differenti l'uno dall'altro, quasi l'opposto l'uno dell'altro. Di che cosa allora ci rendiamo conto? Della “irrimediabile nostra solitudine”.
Ecco come ci fa aprire gli occhi l'ultimo romanzo e gemma pregiatissima di Pirandello: “Uno, nessuno, centomila”, pubblicato per la prima volta a puntate sulla “Fiera Letteraria” nel 1925 ma sul quale l'autore già lavorava dal 1909-1910.
Vitangelo Moscarda, è un benestante di provincia che vive tranquillamente nella “nobile città di Richieri” tra gli ozi e i piaceri, provenienti dalla banca fondata di sua padre. Questo ventottenne siciliano non è mai riuscito a concludere un progetto che si ere prefissato (come l'università) non per leggerezza ma perché “ci si affondava troppo e non si riesce a nulla affidandosi troppo in qualsiasi cosa. Si vengono a fare certe scoperte!”. Vitangelo è una persona ordinaria che trascorre la sua esistenza tra i suoi pensieri e le risatine della sua cara moglie Dina, che lo chiama affettuosamente “Gengè”.
Un giorno ,tuttavia, Dina fa notare al marito che ha il naso che pende a destra. Vitangelo rimane basito dalla scoperta di questo “problemino”, del quale non si era mai reso conto. Ma fosse solo il naso un po' storto! Dina mostra al caro Gengè che ha anche le gambe leggermente arcuate, le sopracciglia ad accento circonflesso e tanti altri piccoli difetti, mai visti fino ad ora da lui. Vitangelo allora scopre come non sia quello che pensava di essere ma agli altri appare in maniera sempre differente. Ma fossero solo due i “sosia” interni del povero signor Moscarda! Ben presto prolificano fino a divenire centomila, ognuno diverso a seconda della persona che lo incontra: dallo sciocco e infantile Gengè, creato da Dina, al caro Vitangelo del signor Quantorzo (amico di famiglia e direttore della banca paterna) e così via. L'uno si frantuma in centomila e diviene nessuno dal momento che se si prova a vedere il proprio corpo, scevro da ogni stato d'animo e impressione, si ottiene solo un neutro automa, il quale non sa nemmeno di avere un cuore che batte, dei polmoni che respirano e può essere spazzato via da un momento all'altro. Vitangelo, più che vivere, vuole vedersi vivere, vuole conoscersi ma scopre che “quando uno vive, vive e non si vede. Conoscersi è morire” in quanto uno solo “si atteggia, e atteggiarsi è come diventare una statua per un momento. La vita si muove di continuo, e non può mai veramente vedere se stessa”. Però egli non vuole demordere e decide di stravolgere tutti i Moscarda che gli altri gli hanno affibbiato, alla ricerca del Moscarda che è per lui. Nel far ciò riscoprirà e rivedrà in una nuova luce la sua infanzia, i suoi affetti e smaschererà ogni sua rappresentazione sociale, mostrandone la finzione di base, e tale progetto lo porterà a degli esiti che hanno (apparentemente) dell'incredibile....
Dal primo romanzo, L'esclusa, Pirandello è cambiato tanto con un'opera, che si riduce per gran parte ad un monologo ininterrotto, che Sergio Campailla ha definito,giustamente, “lucidissimo delirio”. La pazzia, infatti, è un filo rosso del romanzo. Essa non è vista assolutamente in senso negativo, anzi appare come unico mezzo per poter apprendere il caos della vita e delle convenzioni sociali. Infatti per poter apprendere la realtà, bisogna estraniarsi da questa e per far ciò bisogna rompere con i condizionamenti e i legami della terrestrità. Bisogna volare e per spiccare il volo è necessaria la pazzia, la “forma più perfetta della vita vivente” come ha affermato il figlio di Pirandello, Stefano.
Questa lettura non è semplice, bisogna fermarci, tornare in dietro, riprendere per poter seguire i ragionamenti complessi e ingarbugliati di una mente disperata dalla perdita della propria identità, dalla frantumazione della propria persona, dalla perdita delle proprie certezze, dallo smarrimento della propria serenità in una angosciosa solitudine, “ dove l'estraneo siete voi”. Ma dietro alle elucubrazioni di Vitangelo Moscarda si cela una terribile verità: la fragilità e il disorientamento dell'uomo che colma il proprio vuoto interiore costruendo illusioni e chimere.
Proprio per la particolare ed eccezionale esposizione della realtà scoraggiante ma ineluttabile dell'essere umano, per la rianalisi di termini-chiave come nome, identità,coscienza e pazzia, consiglio appassionatamente “Uno, nessuno e centomila”, un scrigno da scrutare attentamente per le sue innumerevoli perle di saggezza. Buona lettura!
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Sergio Campailla ha curato l'edizione della Newton che ho io, in cui vi sono tutti i romanzi di Pirandello. Devo ammettere che l'introduzione generale al pensiero pirandelliano mi ha un po' confuso anche perché richiedeva nozioni più approfondite rispetto all'infarinatura generale ricevuta alle scuole medie. Poi le introduzioni ai singoli romanzi, invece, sono state molto chiare, approfondite e curate. Dal suo linguaggio specifico, preciso e raffinato si nota l'immensa cultura e ricchezza stilistica di questo intellettuale.
PS immagino che le sue lezioni all'università non abbiamo mai annoiato gli studenti. Anzi li avranno interessati, giusto?
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