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Lager e raziocinio: binomio possibile?
Dicembre 1943-Gennaio 1945.
Ecco il libro che narra quattordici mesi di (non?) vita dell'autore, il quale decide di lasciarci questa testimonianza perché avverte il 'bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi' delle sofferenze dei Lager.
Un memoriale atipico, in cui Levi non si ferma a registrare passivamente gli avvenimenti, ma si concentra sulla psicologia e sulle regole di "civilizzazione" (?) che vigono nel campo di concentramento, senza dimenticare gli stratagemmi e i sotterfugi che possono allungare la vita ai "privilegiati".
La deportazione, il Lager come 'Torre di Babele', la metafora dell'Inferno dantesco, il dormiveglia come riposo illusorio, i lavori gravosi, il labile confine fra vita e morte, la speranza dell'offensiva Alleata e la "selezione" dei nazisti sono soltanto alcuni dei temi trattati nel romanzo, con assenza assoluta di condanna etico-morale e uno stile tragicamente lucido, pensato e antiretorico.
'Arthur ha raggiunto felicemente la sua famiglia, e Charles ha ripreso la sua professione di maestro; ci siamo scambiati lunghe lettere e spero di poterlo ritrovare un giorno'.
La tua speranza, credici, è anche la nostra.
Arrivederci, Primo, e grazie di tutto.
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