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Un eroe solitario nella torrida Sicilia verghiana
Un personaggio lirico, un solitario lottatore che vive per la sua "roba" e per la sua famiglia. Gesualdo è il simbolo dell'ideale dell'ostrica che si tuffa e viene risucchiata dalla marea, tuttavia è un'ostrica ben diversa dalla Lia dei "Malavoglia", è un'ostrica che si ostina a nuotare nella tempesta che sembra volerla risucchiare nel gorgo. E la sua denominazione "Mastro-Don" è il primo ostacolo che questo robusto figlio della terra deve affrontare : non è più un contadino, nè un borghese, ha spiccato il volo verso la nobiltà infrangendosi contro il muro delle critiche bigotte della società siciliana ottocentesca. Un uomo nato figlio di muratori non può morire aristocratico. Lo testimonia la sua morte snaturata da quell'ambiente a cui Gesualdo è così affezionato, lontana dal paesaggio della Canziria a cui il protagonista è così intimamente legato (la Canziria è la prima terra che Gesualdo ha acquistato, sulla base della quale ha poi costruito la sua fortuna). Il decesso di Gesualdo avviene tra la quasi totale indifferenza della figlia,alla quale si accosta soltanto attraverso un intimo ed unico colloquio pochi giorni prima della morta, e il cinismo crudele dei servitori che si rifiutano di servire chi è "nato come loro" : è la fine di una vita vissuta per l'accumulo della roba, roba destinata a quella figlia che non è nata dal suo seme. La nobile Bianca Trao con la quale Gesualdo contrae il proprio matrimonio si rivela essere uno dei pochi "affari sbagliati" che il fiuto del Mastro-Don non è riuscito ad individuare, un affare che si conclude, così com'è iniziato, nella solitudine e nella tristezza della morte di Bianca.