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Il romanticismo di Verga
Questo breve romanzo in forma epistolare fu scritto da Giovanni Verga nell’estate del 1869, durante un suo soggiorno a Firenze, e fu pubblicato nel 1871 sulla rivista “La ricamatrice” e quasi contemporaneamente in volume, incontrando subito un notevole successo di pubblico. Al riguardo, si consideri che in circa venti anni ne furono vendute 20.000 copie, entità modesta se raffrontata agli esiti dei moderni best seller, ma notevole ove si tenga presente che la popolazione italiana, assai inferiore numericamente all’attuale, era inoltre largamente analfabetizzata, limitando così di fatto la dimensione dei potenziali lettori.
Il romanzo è in parte autobiografico e prende spunto da una vicenda realmente accaduta al Verga in età giovanile, il che comprova la partecipazione emotiva presente nell’opera, non solo spiegabile con l’intenso romanticismo di cui è pervasa. Non ci è dato di sapere se, oltre all’epidemia di colera che costrinse la famiglia e lo scrittore a rifugiarsi a Tebidi e all’infatuazione di lui quindicenne per Rosalia, educanda del monastero di San Sebastiano di Vizzini, altri elementi della trama siano realmente accaduti, circostanza di cui tuttavia dubito, mentre invece non è improbabile che la delusione amorosa possa aver non poco contribuito alla creazione di quest’opera, uno sfogo insomma, in cui le intense passioni traboccano e cozzano contro consuetudini alle quali, soprattutto la protagonista, non è in grado o non vuole ribellarsi.
Siamo ancora assai lontani dal Verga più maturo, da quello di maestro nel verismo, eppure già si notano caratteristiche che resteranno inalterate, come la compassione per gli sventurati, con l’acquiescenza tuttavia a un ordine costituito immutabile, sicché le condizioni di vita, e le vite stesse, restano rinchiuse irreparabilmente nei confini e nei limiti della propria classe.
Pur tuttavia, la narrazione, benchè in forma epistolare, è snella e accattivante, e poi non c’è cuore che possa resistere alla vicenda di Maria, novizia non per vocazione, ma per imposizione, e se poi a ciò aggiungiamo l’amore che essa reclama e che provocherà ancor di più la volontà di recluderla in convento, è evidente che si toccano corde intime, più che tocchi stilettate, che finiscono per coinvolgerci oltre misura. E quanto più ardente è la passione, quanto più assoluta è la disperazione per l’impossibilità di coronare un legittimo desiderio, tanto più finiamo con l’essere partecipi, avversando la perfida matrigna e impietosendoci per la povera fanciulla.
Sono esternazioni di sentimenti portate all’eccesso, quei grandi amori e quelle profonde delusioni tanto care al romanticismo, ma che fanno presa indubbiamente, visto che ancor oggi il romanzo è largamente apprezzato.
Fra l’altro, dallo stesso, è stato tratto un film per la regia di Zeffirelli che, anche per sua natura, ha accentuato impeti e struggimenti, con notevole consenso da parte degli spettatori.
Del resto, io stesso, se dovessi valutarlo per il pathos che mi crea, dovrei definirlo un capolavoro, ma se guardo con tono più distaccato concludo che sicuramente non lo è, pur restando un buon romanzo, la cui lettura è indubbiamente consigliabile.