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gli indifferenti?
“Gli indifferenti” di Moravia è una lettura che risale a un po’ di tempo fa (forse tanto). Per scrivere questa opinione, allora, ho dovuto riaprire il libro, rileggerne qualche passaggio, rinfrescarmi la memoria, grazie anche ai segni, appunti, note e punti interrogativi con cui uso “sporcare” le pagine dei libri.
Ma veniamo agli “indifferenti”. Personalmente ritengo che sia un romanzo appena sopravvalutato, forse perché alquanto elementare nell’allegoria e la cui trama, piuttosto forzata e non so quanto volutamente scandalosa (almeno per quei tempi, parlo del 1929), pecca di intrecci in cui l’elemento dominante, l’indifferenza, compare in maniera forse un po’ troppo ripetitiva.
È vero, l’indifferenza non è quella verso un’umanità corporea da strada, verso vite ai margini di un mondo “imperfetto”. Fosse così, tutta la storia dell’Uomo non sarebbe altro che un’evoluzione dell’indifferenza e ciò che separa l’“oggi” dal passato non sarebbero altro che sfumature.
L’indifferenza dei personaggi di Moravia scaturisce da un senso quasi di impotenza nel determinare ciò che accade, col risultato che il vuoto per la mancanza di ogni speranza nella propria esistenza finisce per ritorcersi verso gli stessi protagonisti. A loro stessa insaputa.
Ma l’allegoria, inquadrando il libro nel contesto storico in cui fu scritto, è molto evidente. L’indifferenza è quella della borghesia di allora, prona al fascismo e incapace di opporre una qualsivoglia strada politica. Sotto questo aspetto allegorico il libro è alquanto elementare, dicevo, e, a parte questo, concede solo vaghi temi esistenziali, per i quali un Sartre o un Camus o un Kafka potrebbero offrire, a mio parere, molto di più.
E poi il titolo: gli indifferenti. Trovo che non sia perfettamente corretto, in quanto i due protagonisti, Carla e Michele, avvertono un disagio intorno a loro fino a provare persino una certa insofferenza. Ora, l’indifferenza presuppone, invece, una totale assenza di emozioni o di sentimenti, mentre loro in ogni caso il sentimento di insofferenza lo avvertono. E anche della stessa borghesia di allora più che di indifferenza si deve parlare di incapacità di costruire un modello alternativo a quello del fascismo. Di certo non si può parlare di indifferenza: la politica è fatta di scelte, e l’indifferenza è assenza di scelta. Qui il discorso si fa un po’ troppo storico e, pertanto, mi fermo.
La prosa è realistica e questo rende la lettura agevole. Ma l’ostinazione con cui Moravia vuole rimarcare il concetto di indifferenza, porta, a mio parere, a intaccare lo stile. Del resto la stessa attenzione alla costruzione della storia ha sviato l’autore dalla cura della costruzione del periodo o nella ricerca di metafore o altro. Addirittura per tre volte (forse quattro, non ricordo bene, ma di certo tre) usa l’espressione “non più immobile di…”
Questo, sia chiaro, non sminuisce affatto l’opera e il suo valore letterario (me ne guarderei bene!). Voglio solo dire che, personalmente, sarei più portato a una certa attenuazione dei meriti di cui, chissà, forse a giusta ragione, gode il libro.
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