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Decameron
E’ un peccato che quest’opera non venga approfondita a scuola, così come la Commedia. Se Dante è il padre della poesia italiana, Boccaccio lo è sicuramente della prosa.
Siamo a Firenze, in piena peste. Sette donne e tre uomini si rifugiano appena fuori città. Qui passeranno dieci giorni e ogni giorno, governato da un “re” o una “regina”, i dieci narratori racconteranno ciascuno dieci novelle. Ci saranno dieci temi: il primo sarà libero; il secondo è il “lieto fine” dopo molte traversie; il terzo è dedicato a chi riesce ad acquistare o riconquistare un bene molto agognato; il quarto riguarda gli amori finiti infelicemente; il quinto invece gli amori a “lieto fine”; il sesto la “presenza di spirito”; il settimo le beffe delle mogli ai mariti; l’ottavo le beffe tra uomo e donna; il non ancora a tema libero e infine il decimo a fatti e gesta eroici.
Cento novelle, legate fra loro da un filo sottile. Dieci narratori, il cui nome non è solo simbolo arbitrario. Una struttura complessa, ordinata, un magnifico ingranaggio di prosa sublime, fanno del Decamerone una “terrestre Commedia” (fu Boccaccio a definire Divina la Commedia di Dante).
Un’opera godibile già in superficie (una sua novella l’ho ritrovata in un libro di fiabe di mia figlia), ma se approfondita, sa dare emozioni e suscitare rispetto per questo capolavoro molte volte bistrattato.
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