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Onore, vendetta, riscatto.
Torna in libreria Wilbur Smith con “Il richiamo del corvo” opera con la quale l’autore ci invita a riflettere sul destino e la brutalità della natura umana in particolare soffermando la propria attenzione su quel che è stato lo schiavismo in America e sulla potenza dei sentimenti. Sono proprio i sentimenti a far da padroni fra queste pagine, sentimenti ed emozioni che possono distruggerci oppure farci crescere.
Tutto ha inizio quando Mungo St John è costretto a far ritorno a casa dall’università a causa della morte del padre. Mungo ha sempre dato per scontata la sua condizione di agio e benessere. Per lui era un qualcosa di improcrastinabile e di naturale essendo da sempre abituato a non dover far altro che desiderare un qualcosa per appagarlo. Eppure, quando torna a casa, scopre che il suo destino sta per prendere, anzi ha già preso, una direzione diversa perché ha perso tutto. Tutto quello che determinava il suo status benestante non esiste più. Chester Marion, l’avvocato al servizio della famiglia, che si è occupato della proprietà dei St John, li ha mandati in rovina e per mezzo di un subdolo inganno è riuscito a intascarsi l’eredità dell’erede legittimo. Schiavi compresi, compresa la sua Camilla la giovane serva di cui Mungo è innamorato da sempre, compresa quella serva che adesso è resa l’amante del suo nuovo padrone.
Da qui Mungo giura vendetta, giura di riappropriarsi di quel che gli spetta e di liberare quella donna che tanto ama. Le strade in un certo senso si dividono perché mentre lei è costretta a piegarsi alla realtà della schiavitù, egli dovrà fare i conti con una serie di avversità che mai ha dovuto fronteggiare e decidere se spingersi oltre i limiti.
«Una professione magnifica e nobile» sottolineò Mungo, «ma se mai riuscirete a eliminare il traffico di schiavi resterete senza lavoro, quindi è nel vostro interesse garantire che prosegua.»
Fairchild lo fissò orripilato. «Discutere con voi è come discutere con il diavolo in persona» si lamentò. «Il bianco è nero e il nero è bianco.»
Con una penna rapida e fluida, Wilbur Smith dona ai suoi lettori un romanzo d’avventura dalle tinte storiche che non manca di coinvolgere nelle vicende e arrivare a un pubblico vasto. L’opera che contiene al suo interno i tratti tipici dell’avventura, della storia, dell’amore, dell’inganno, del riscatto, della possibilità di salvezza, della ricerca di una nuova strada da poter intraprendere, della schiavitù, dell’odio, della vendetta, della passione e del sentimento, si presta alla lettura di lettori molto eterogenei tra loro. Smith a quarant’anni dalla pubblicazione di “Quando vola il falco”, il primo romanzo della serie dei Ballantyne, torna a proporci un nuovo episodio avente come protagonista uno dei personaggi più amati e più odiati per il suo essere al contempo sia Dr Jekyll che Mr Hyde.
Il titolo non può definirsi il miglior lavoro dello scrittore soprattutto per chi ha letto i suoi lavori più famosi e di successo ma rappresenta comunque una lettura con un suo perché e con qualcosa da dire in particolare proprio sull’aspetto relativo alla schiavitù che pagina dopo pagina emerge con un quadro vivido e ben delineato.
Lineare nella sua costruzione, logico nel suo sviluppo, “Il richiamo del corvo” è una lettura rapida che si conclude in un paio di giorni e che è adatta a chi ama questa tipologia di romanzi a prescindere dall’aver letto i libri precedenti ma anche a chi cerca un elaborato non troppo impegnativo con cui trascorrere ore liete e staccare la spina ma con un componimento intelligente e che nulla lascia al caso.
Godibile, piacevole, di intrattenimento.