Dettagli Recensione
Montecristo in salsa western.
1822. Hugh Glass partecipa ad una spedizione di cacciatori di pellicce intorno al Missouri. È taciturno, pacato, affidabile. Sa orientarsi, trovare il cibo, riconoscere gli Indiani e parlare con loro. E ucciderli, alla bisogna. Un uomo prezioso, per il capitano Henry, in un’accozzaglia di tipi non sempre raccomandabili, il suo braccio destro. L’uomo a cui chiedere consiglio e anche con cui, qualche volta, confidarsi.
Ma Hugh viene attaccato da un’orsa (e leggere questa descrizione non può far che sorridere della scialba resa filmica del tutto) e nonostante il suo coraggio rimane a terra peggio che morto, con orrende ferite al volto, alle spalle e la gola squarciata.
Ma vivo.
Questione di tempo, e anche poco, secondo l’opinione di tutti.
Il Capitano Henry fa tutto quello che può per il suo uomo: cerca di curarlo, fa costruire una piccola barella e lo porta con sé.
Finché può. Perché ad un certo punto il cammino è troppo impervio per una barella. Perché sono in un territorio di Indiani ostili e attardarsi per un uomo può significare la morte di tutti.
“I fieri individui che componevano la sua comunità di frontiera erano legati dal ferreo vincolo della responsabilità collettiva. Sebbene non ci fossero leggi scritte, esisteva una sorta di diritto naturale, un patto da rispettare che trascendeva gli interessi egoistici. Era di una profondità biblica, e la sua importanza andava aumentando man mano che ci si inoltrava nella natura selvaggia: in caso di bisogno, dovevi tendere una mano sollecita ad amici, compagni e finanche estranei. Perché un giorno anche la tua sopravvivenza poteva dipendere dalla mano tesa di qualcun altro.”
Infine Henry decide. Promette un grosso premio in denaro ai due uomini che sceglieranno di rimanere con Glass nelle sue ultime ore; lui proseguirà con il resto della squadra.
Si offre Black Harris, amico di Hugh Glass, ma le sue abilità sono troppo preziose per il gruppo. Alla fine accettano Bridger, un ragazzo alla sua prima caccia, timido e gentile e Fitzgerald, che già in poche righe ha fatto capire di essere spregevole ed abbietto.
Bridger si prodiga per Glass, che continua a peggiorare. Dal canto suo Fitzgerald spera che si spicci a tirare gli ultimi.
Ma la situazione peggiora ancora. Bridger e Fitzgerald sono costretti ad abbandonare Glass.
Non solo.
Ma si portano via il suo fucile e il suo coltello.
E se Glass l’abbandono avrebbe potuto comprenderlo, il furto no.
Infatti Glass non comprende.
Ma sopravvive e cerca la sua vendetta.
Questa la trama del libro.
Che dalla sua ha una trama tosta e senza fronzoli (quelli ce li ha messi tutti Inarritu nel film) e delle descrizioni che, in una parola, sono stupende. Quella dell’attacco dell’orsa, all’inizio, ti inchioda immobile dove ti trovi (e nel mio caso mi ha pure costretto a ripararmi il collo per tutto il tempo), ma anche l’attacco dei lupi, la lotta di Glass contro il fuoco che non “prende” durante la bufera di neve, la discesa del fiume con i Francesi… pezzi davvero stupendi (e l’ultima volta che mi sono commossa per una descrizione… vediamo… era Hemingway). Di contro il resto non sempre è all’altezza. I personaggi, secondo me, non vengono sempre bene “fuori dalle pagine” e soprattutto Glass, alla fine, appare un po’ una citazione, più che un personaggio.
Non di meno la forza del plot fa superare allegramente questo “difetto” e il libro è perfettamente godibile.
[Se fossi costretta a dire due parole sul film, direi che ho piantato lì dopo un quarto d’ora e mi sono messa a fare l’inventario delle foto della Sicilia.
Per ragioni che non capisco la trama lineare – che è la forza del libro – viene sbrodolata in un complicato rimando di vendette incrociate costellato dall’insopportabile moglie indiana morta di Glass che di tanto in tanto se ne viene fuori con le sue tirate in elfico. Per tacere del figlio morto.
Il Glass del libro ha il cuore abbondantemente spezzato da prima e non ci pensa neanche a vendicare qualcun altro. Vendica sé stesso.
Non per essere stato abbandonato moribondo, ma per essere stato privato di qualunque possibilità di difesa.
Era perfetto così, cosa sbrodoli?
Per il resto. Di Caprio non lo sopporto e si sa. La scena dell’orsa è così bella nel libro che l’unico modo di renderla degnamente è fare a mo’ di tragedia greca: la fai descrivere a parole dal primo che arriva sul posto e poi fai trovare Glass ferito e agonizzante.
Non voglio cosi male a LdC da volergli far girare una scena realistica.
E quella realizzata, fra l’infelice stuntman a fare l’orsa e la CGI sarà anche stata il meglio che si potesse fare. E Inarritu si sarà anche studiato tutto il National Geographic sui grizzly, buon per lui.
Però veramente veramente veramente NO.
Ed è la cosa migliore.]
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Commenti
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Sono un po' latitante (leggo tanto e recensisco poco), ma ogni tanto salto fuori.
Se decidi di dare un'occhiata al libro fammi sapere, ho trovato pochissimi lettori (fra l'altro ho appreso che ne è stato tratto un altro film: "Uomo bianco va' col tuo dio". Vedremo.)
(Lo so che LdC non è così male, è un'idiosincrasia mia, dai tempi di Titanic - che non ho visto, infatti).
A presto
A.
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è bello ritrovare la "frizzantezza" delle tue recensioni,
hanno carattere, è il loro inconfondibile marchio di fabbrica...
Non sapevo che il celebratissimo film di Inarritu fosse ispirato ad un libro,
avendolo visto, come spesso mi accade in questi casi, spegne l'entusiasmo per la lettura,
ma mi accende il tuo richiamo ad Hemingway,
non potendo fare a meno di ritornare con la mente alle splendide pagine de "Il Vecchio e il Mare"
che mi hanno profondamente trascinato nella mia recente (felicissima) rilettura.
P.S. Fammi spezzare una lancia a favore dell'odiato LdC: era un ruolo ostico, abbastanza atipico,
l'ha sbrigata quantomeno senza infamia e dimostra ancora una volta una buona plasticità. ;)