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C'era una volta il Tibet
“Sette anni in Tibet” e’ il sogno Himalayano di ogni alpinista, e’ il buon esito di una fuga, e’ il racconto certosino di una lunga avventura ma soprattutto l’appassionante biglietto d’ingresso sul blindatissimo tetto del mondo.
Heinrich Harrer, alpinista austriaco, racconta quanto avvenne a partire dal 1939, anno in cui ottenne l’accesso ad una spedizione sull’Himalaya. Sorpreso in India dallo scoppio della seconda guerra mondiale, venne arrestato ed inviato in un campo di prigionia. Riuscito a fuggire, tra ingenti fatiche e privazioni, riusci’ a raggiungere non solo il Tibet, ma addirittura l’inaccessibile citta’ sacra di Lhasa instaurando un rapporto di amicizia con il quattordicesimo Dalai Lama.
Se questo oggi si potrebbe risolvere con un timbro sul passaporto o una poltrona all’apice della diplomazia, a quei tempi e per quell’antico popolo, era un po’ come essere invitati da Noe’ sull’Arca della salvezza, o alla deriva oceanica essere raccolti dal Capitano Nemo sul Nautilus.
Tra la perplessita’ d’esordio, dove la penna mi pareva privasse la narrazione di impeto emotivo, mi sono presto dovuta ricredere scoprendo un testo assai pregevole.
Il lavoro autobiografico di Harrer e’ certo orfano di una stesura sentimentale, la scrittura prevalentemente descrittiva e asciutta trae pero’ un beneficio abominevole dai contenuti.
E’ un volume prezioso, che concentra il suo fervore su minuziose descrizioni di luoghi, usi e costumi in un’epoca ancora virginea del Tibet. Un grande paese a due passi dalle nuvole, arretrato tecnologicamente ma fortemente spirituale. E’ la palpitante essenza di una popolazione povera ma felice, confortata dalla religione buddista e assuefatta a superstizioni millenarie.
Sette anni in un luogo precluso agli occidentali, poi l’occupazione cinese. Harrer dovette lasciare il Tibet, così come successivamente il Dalai Lama dovette abbandonare la sua terra.
Leggere questo libro e’ un’esperienza unica, i templi ed i luoghi sacri esistenti negli anni qui descritti sono stati per la maggiore distrutti dagli invasori.
Lhasa pare sia ormai una citta’ moderna, cinese, salvo qualche importante sito tutelato come patrimonio artistico tibetano. Consigliato anche a chi progetta un viaggio in Tibet, per vedere con gli occhi della consapevolezza passata oltre cio’ che oggi resta, questa lettura e’ un’invito goloso a recarvisi presto.
Nel frattempo, buona lettura.
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io lo lessi un po' per caso, ma fu un'ottima scelta.