Dettagli Recensione
Mediterraneo
“Il Dio del deserto” è un mezzo, per Wilbur Smith, di condurci nuovamente in un regno che ama e di cui ha scritto copiosamente, riscuotendo successi internazionali. Sto parlando, come ovvio, dell’Antico Egitto, con i suoi faraoni, gli alti dignitari, la magia e la cultura di una società tanto distante da noi eppure mai priva di uno spiccato fascino, dovuto anche alla commistione sempre presente di afflato divino anche nei momenti più quotidiani.
Riprendendo le fila delle avventure del nobile Taita, Smith ha elaborato un intricato gioco politico che gli dà l’occasione di immergere il lettore in altre due culture dell’antichità: quella mesopotamica e quella cretese.
Il romanzo narra delle nuove imprese di Taita nella lotta contro gli Hyksos, insediatisi da tempo nel nord dell’Egitto, allo scopo di restituire i suoi domini al Faraone. A questi scopi politici affianca il suo ruolo di tutore delle due giovani sorelle della famiglia reale, Tehuti e Bakatha.
Il suo azzardato piano prevede di mettere l’uno contro l’altro il re degli Hyksos e il Supremo Minosse di Creta, momentaneamente alleati, tramite un’azione militare ingegnosa al limite della follia. La mossa riesce, rendendo Taita l’uomo più importante d’Egitto; il passo successivo è assicurarsi il favore dei cretesi per dare agli invasori il colpo di grazia. Cosa potrebbe superare la possibilità di imparentarsi con il Faraone sposando le sue sorelle?
Taita conduce le due giovani nel lungo viaggio verso lo sposo destinato, ma i suoi piani si scontreranno contro i sentimenti delle ragazze, mentre alcuni misteri riguardanti la sua natura più che umana troveranno inaspettatamente risposta.
Con una prosa svelta, leggera e adatta alla lettura più interessata come a quella più distratta, Smith tesse un complicato arazzo il cui scopo principale e non particolarmente dissimulato è quello di raccontare le antiche civiltà del Mediterraneo. Attraverso gli occhi di Taita e delle sue protette ci viene offerta una panoramica completa di città, forme di governo e costumi, in un viaggio difficile e irto di ostacoli.
L’amore per la Storia permea il romanzo, sovrastando quasi sempre una vera ricchezza di trama, anche se va sottolineato che l’autore – il quale ha non pochi anni di mestiere alle spalle – sa come utilizzare un linguaggio semplice per non oberare i lettori di dettagli interessanti solo per lo storico.
I personaggi del romanzo, pur se caratterizzati, tendono a essere prevedibili, corrispondenti a “tipi” predefiniti al servizio dell’intreccio predeterminato, poco vivaci. Le principesse sono indomabili fanciulle pronte a tutto, capaci di diventare in poco tempo espertissime guerriere pur conservando il piglio monello di due bambine viziate. Anche i loro sentimenti d’amore sembrano più dettati dal capriccio che da sentimenti profondi, creando pochissima partecipazione.
Il protagonista, devo ammetterlo, è stato difficile da digerire. Taita è autocelebrativo quasi in ogni frase che pronuncia, un Cicerone tra le piramidi. Si scoprirà più avanti che ne ha ben donde, i suoi poteri sono più che umani; nondimeno, questa vanità esibita, il disprezzo o la pietà con cui giudica quanti gli stanno attorno (perfino quando ha una buona opinione di qualcuno), le affermazioni di tono razzista, lo rendono talmente antipatico che si fatica a proseguire nella lettura. E’ difficile provare empatia verso un personaggio tanto arrogante.
Nel complesso, una lettura leggera, di qualità altalenante. Un buon romanzo “da spiaggia” o per rilassarsi senza dover riflettere troppo.
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