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Non mi piacciono le frontiere
L’ultima patria di Matteo Righetto è il Nord Est montano che - corre l’anno 1898 - si sta spopolando per il flusso migratorio inarrestabile di gente in cerca di fortuna nelle Americhe (“Lo sai che non mi piacciono le frontiere. Mi piacciono gli orizzonti”).
Jole, Antonia e Sergio De Boer vivono con i genitori in un alpeggio (“E dove sarebbe questo posto chiamato Nevada?... Tra la val Brenta e l’altopiano di Asiago”) tra “luoghi di contrabbando e contrabbandieri”.
Antonia decide di seguire la propria vocazione religiosa, mentre Jole sta ancora cercando di assegnare un futuro al suo temperamento volitivo e tenace. Ma su di lei si abbatte la tragedia familiare della perdita dei genitori, che vengono massacrati durante la temporanea assenza dei figli (“Aveva disobbedito a suo padre e ora si ritrovava così…”).
Jole con il fedele cavallo haflinger Sansone decide di farsi giustizia e insegue sui monti i due predoni (“E Cimanegra dov’è?”) che hanno razziato il tesoretto di casa De Boer.
La solitudine coraggiosa di Jole si staglia sullo sfondo di una montagna amica e allusiva (“I lontani ululati di quelle bestie che avevano provato ad aggredirla, i più vicini versi del tasso e della martora, e poi i richiami minacciosi del barbagianni, dell’assiuolo e della civetta nana. A un tratto avvertì chiaro il verso oscuro, misterioso e profetico del gufo reale e… le parve un suono davvero sinistro”), con la colonna sonora della natura (“Il canto di decine di uccelli che proveniva dal bosco: tordi, pettirossi, capinere, fringuelli. Li ascoltò e ne seguì le melodie intrecciate, come se fossero una lode del mattino. Un inno al cielo”).
Giudizio finale: montanaro, avventuroso, western.
Bruno Elpis