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Una storia di grandezza e di miseria
Le isole del paradiso di Stanislao Nievo: “È una storia piena di grandezza e di miseria. Cominciò nell’anno 1699, nel mese di marzo”.
La Melanesia è un paradiso naturale (“La natura aveva colori forti, più aggressiva di quella che conoscevano. Sbocciava contorta, avviluppando d’intrecci bruni il suolo da cui spuntavano qua e là artigli di roccia livida”). Ma è anche un luogo maledetto o proibitivo, tamboo in lingua locale.
Nella Nuova Irlanda giungono coloni-emigranti, anche italiani, che subito interpretano il ruolo che l’uomo sa assumere prontamente (“Se c’è acqua a dislivello idrico, vedrai che colpo facciamo con la mia fontana elettrica!”): intervenire sulla natura (“Dall’altra parte c’è la macina di pietra… Devono farla funzionare perfettamente. Altrimenti addio frantoio e segheria!”), dominarla (“Angelo ha in mente di applicare al mulino che costruite un motore elettrico di sua invenzione”), appropriarsene. Salvo poi patirne le reazioni.
Qui Nievo fonde il gusto del romanzo (“Emma Coe, creola di sangue reale venuta da Samoa tre anni prima col marito Farrell a colonizzare la piccola isola di Mioko, da cui si domina la costa della Nuova Britannia e della Nuova Irlanda”) e il proprio naturalismo in una storia che vinse il premio Strega nel 1987.
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