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Il tragico destino dei vinti
"Folle l'uomo che saccheggia le città, i templi, le tombe e i santuari dei morti: lascia il deserto dietro di sé, ma farà anche lui una brutta fine".
Andata in scena nel tardo V secolo a. C., "Troiane" è un'opera teatrale che commuove e dà molto da riflettere sul nonsenso della guerra.
Sullo sfondo della rocca di Ilio espugnata con il famoso inganno e ormai in fiamme, le donne troiane attendono di essere spartite come parte integrante del bottino di guerra; per loro si prospetta solo un doloroso e umiliante futuro di schiavitù. L'anziana regina Ecuba viene assegnata a Ulisse, la nuora Andromaca a Neottolemo, figlio d'Achille, mentre la figlia Cassandra, già stuprata nel tempio di Atena da uno degli achei, dovrà seguire Agamennone sino a Micene. Il delitto del figlio di Andromaca ed Ettore, il piccolo Astianatte, gettato dall'alto delle mura di Troia, segna il culmine delle atrocità compiute dagli invasori. Tra questi ultimi, un barlume di umanità sembra vedersi soltanto nell'araldo Taltibio, l'unico a esprimere compassione per il destino dei vinti.
Nel complesso, anche se forse non tra i più letti e conosciuti, uno dei lavori euripidei di maggior rilievo che colpisce senz'altro per la particolarità del tema affrontato e il senso di pietà rivolto a donne inermi, destinate senz'appello all'esilio e alla schiavitù, che mantengono tuttavia una dignità invidiabile in un momento tanto drammatico.
"La felicità non dura e crederlo è una follia. La sorte si comporta come i dementi: a scatti inconsulti, ora qua, ora là. E nessuno riesce a conservare la propria fortuna".
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A proposito della tematica bellica, un paio di settimane fa ho visto a teatro "Supplici". Bella rappresentazione e salutari riflessioni.