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Ombre del passato
Come già in “Casa di bambola” (1879), anche in “Spettri” (1881) Henrik Ibsen (1828-1906) lancia un attacco audace e impietoso contro il perbenismo e l’ipocrisia della società borghese dell’epoca. E lo fa attraverso un’altra figura femminile che, al pari dell’indimenticabile Nora Helmer, destabilizza e suscita scandalo per la propria ribellione agli schemi sociali e allo stesso ruolo che essi le impongono: la signora Helene Alving, vedova del capitano e ciambellano Alving in memoria del quale è stato costruito un asilo che sta per essere inaugurato.
Lo sfondo è quello remoto della campagna norvegese della seconda metà dell’Ottocento nelle vicinanze di un grande fiordo (più di una volta, si fa riferimento a un collegamento col piroscafo), dove il rispettabile ed elogiato defunto ha condotto in realtà una vita tutt’altro che irreprensibile. Schiacciata dal peso della menzogna, soprattutto nel momento in cui, a causa di quest’ultima, si rischia concretamente di sfiorare l’incesto, la signora Alving rivela quanto accaduto in passato dietro il miserabile velo dell’apparenza; a redarguirla, nonostante tutto, il reverendo Manders che le ricorda i suoi sacri doveri di sposa poiché “una moglie non può farsi giudice del marito”, nonché la necessità di portare la propria croce per non mettere a repentaglio buon nome e reputazione familiari. Alla vedova, che vive oramai per suo figlio Osvald, giovane artista da poco rientrato da Parigi, spetta l’ingrato compito di raccontare tutto sino in fondo, una verità sconfortante e tragica per più di un personaggio durante una terribile notte di fiamme la cui tenebra, tanto è profonda, non potrà essere dissolta nemmeno dal sorgere del sole con cui si chiude il terzo e ultimo atto dell’opera.
Tra i lavori più famosi e significativi del teatro del grande drammaturgo norvegese, “Spettri” venne messo in scena per la prima volta a Chicago nel 1882; per diverso tempo, la rappresentazione in patria trovò seri ostacoli a causa del contenuto allora giudicato scandaloso, se non addirittura osceno. Di certo, si tratta di un testo, oltre che coraggioso per aver affrontato determinati temi (incluso quello della malattia), di particolare complessità in cui si muove una notevole figura di madre; nel complesso, forse, una lettura meno coinvolgente rispetto a quella di “Casa di bambola”, ma dalla drammaticità più intensa e angosciante.
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Cercherò di leggere anche altre opere di Ibsen, mi piace molto la sua scrittura.
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