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...su questo grande presepe di pazzi
Eduardo De Filippo è una di quelle presenze che, insieme a Totò, hanno accompagnato la mia crescita, seppur da lontano: essendone mio padre un grande appassionato, sul televisore di casa mia si susseguivano spesso le immagini delle opere teatrali e cinematografiche di questo autore che, lo si può dire senza alcun timore, è probabilmente tra le personalità più grandi che la mia terra abbia mai partorito. Dico “da lontano” perché, ragazzino com’ero, probabilmente portavo in me l’erroneo pregiudizio secondo il quale ciò che piace ai nostri genitori non può che essere diverso da ciò che piace a noi: generazioni diverse, gusti diversi, un ragionamento del tutto erroneo che si potrebbe smontare con cinque minuti di riflessione che fino a poco tempo fa non m’ero mai preso. Di recente, tuttavia, sembra che anche il mondo della televisione stia riportando in auge il nome del grande Eduardo, con rifacimenti moderni delle sue opere teatrali e film incentrati su alcuni momenti della sua vita. Nonostante la mia reticenza (o forse dovremmo chiamarla pigrizia) sentivo comunque che qualcosa mi attirava verso questa grande personalità, e il recente film “I fratelli De Filippo” ha vinto le mie ultime resistenze, che comunque prima o poi avrebbero finito per cedere.
Così, ho deciso di iniziare la mia scoperta d’Eduardo.
Quel che è interessante, nel leggere su carta un’opera scritta per essere rappresentata, è che ci si possono trovare sottigliezze sulla psicologia dei personaggi che non sempre gli attori riescono a rendere appieno (anche se non è il caso di Eduardo); dettagli che a un occhio disattento (e non solo) potrebbero sfuggire. Dunque il teatro di Eduardo va letto o visto? Secondo me va sia letto che visto: ecco perché mi sono appena fatto arrivare la sua opera quasi completa, e spero di potervene parlare, poco a poco, con sempre più entusiasmo.
Ma focalizziamoci sull’opera in questione. A casa mia, nel periodo natalizio, le immagini di “Natale in casa Cupiello” sono un baluardo che non cede quanto il presepe stesso; dunque, scene come quella della letterina di Natale letta da Tommasino non giungono del tutto nuove, ma inserite nell’intero contesto raggiungono una potenza e un ilarità ancora maggiori. Quel che tuttavia è veramente grande in Eduardo De Filippo - e ora posso dirlo con cognizione di causa, seppur ancora un po’ acerba - è la sua grande capacità di cogliere quella che è la realtà della famiglia napoletana. Certo, stiamo parlando di un’opera scritta e rappresentata quasi cent’anni fa: il concetto di famiglia e i rapporti tra i suoi componenti sono nettamente cambiati, ma molte di quelle peculiarità resistono ancora oggi. È incredibile vedere come Eduardo abbia colto e messo in scena sapientemente queste caratteristiche e controversie: i momenti d’ilarità e i momenti di tensione; i litigi furiosi dimenticati un attimo dopo; le parole velenose che ci si lancia a vicenda salvo poi sbranare chiunque si permetta di dire una parola fuori posto, riguardo quegli stessi familiari che poco prima avevamo trattato in modo inclemente. Il Natale non è che un pretesto: è il momento dell’anno in cui i veri sentimenti, che sia giusto o meno, vengono maggiormente fuori; in cui le tradizioni ci costringono a metterci a nudo come magari non faremmo durante il resto dell’anno. Ed è questo ciò che accade anche in casa Cupiello, tutto ciò che è “vero” viene fuori, travolge tutti come un fiume in piena e costringe i personaggi a fare i conti con la realtà. Chi più ne farà le spese è proprio Lucariello, il nostro protagonista, che in fin dei conti è rimasto un bambino, e che trovandosi ad affrontare d’improvviso una fase della vita che richiederebbe la forza d’un adulto riceve una batosta che non riesce a sopportare. Quel presepe, che tanto vorrebbe che a Tommasino piacesse, non è altro che il simbolo di quella puerilità che non l’ha mai abbandonato e che forse non ha mai voluto abbandonare: perché visto dagli occhi di un adulto questo mondo ci appare ancor più crudele e molto più a lungo.
Infine, forse quel “Presebbio” di cui parla Lucariello non è altro che quel “great stage of fools” di cui parla il grande Bardo per mezzo della voce del suo King Lear. E in effetti, con le giuste proporzioni, il destino del nostro povero Cupiello non si rivelerà tanto diverso da quello del famigerato re shakespeariano.
“[…] te piace ‘o Presebbio?”
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molti cadono nell'errore di credere che vedere rappresentata un'opera teatrale sia sufficiente, secondo me non è così.
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