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Lungo viaggio attraverso la notte
Qualcuno ancora afferma che commedie, drammi, tragedie e opere teatrali non siano proprio testi attinenti alla letteratura in senso stretto, non siano cioè da considerarsi alla stregua di romanzi o racconti.
Come dire che Cechov, Moliere, Shakespeare, Goldoni, Pirandello non esistono come letterati sensu strictu, ma solo come drammaturghi; sarà, ma mi risulta un Nobel della Letteratura al buon Luigi citato, che non mi pare fosse un romanziere.
Tra l’altro, forse non è pertanto uno scrittore con tutti i crismi che il termine così inteso comporta, ma io ne conosco uno che scrive commedie, ed è talmente letto e conosciuto, che in tutto il mondo è noto con il solo nome di battesimo: Eduardo.
Eduardo De Filippo è ormai unanimemente considerato da pubblico, critica e studiosi tra i massimi esponenti della cultura italiana del Novecento, i numerosi drammi e le commedie teatrali da lui stesso messi in scena e interpretati sono stati in seguito tradotti e rappresentati da altri anche all'estero.
Con umorismo sarcastico e amaro, descrivendo le vicende di persone con tutta verisimiglianza partenopei e parlanti in napoletano, dialetto comprensibilissimo a tutti, certamente assai più del noto vigatese di Camilleri, descrisse in realtà l’intera società italiana per quella che, in effetti, era. Tratteggiò la caduta dei valori, rese evidenti velatamente e sarcasticamente l’ipocrisia della classe borghese, denunciò la meschineria, l’insulsaggine, la miseria morale insita nell'uomo.
Solo i semplici, gli umili, la normale buona gente, le comuni persone per bene, tentano in qualche modo di porre rimedio ricorrendo ai valori “napoletani”, e perciò universali, della solidarietà, del calore umano, della condivisione.
Come ebbe a dire lui stesso: “…l’attore di teatro ripete sul palcoscenico quello che la gente comune recita davvero ogni giorno nella vita reale”.
Particolare curioso, Eduardo de Filippo fu anche candidato per il Premio Nobel per la letteratura; il premio non gli fu conferito, più che altro perché all'epoca la drammaturgia non veniva appunto ancora considerata letteratura come tale, Pirandello fu un’eccezione; decenni dopo invece tale discriminazione cessò di essere, ed infatti un premio Nobel per la Letteratura fu attribuito al drammaturgo italiano dialettale Dario Fo.
La fama di Eduardo, e tutto il suo mondo e il suo messaggio artistico, risiede essenzialmente nelle sue commedie.
“Napoli milionaria” non è una cronaca di guerra, e neanche è la storia delle sofferenze cui è costretta la popolazione civile durante l’ultimo conflitto mondiale.
La commedia è molto di più, è la cronaca del decadimento dei valori provocati dalla guerra e dall'uomo, e del difficile compito di mantenersi coerenti e fedeli alle proprie scelte morali.
Ambientato interamente in un tipico “basso” napoletano, l’angusto e malsano ambiente situato a livello stradale cui, per bisogno, sono costrette a vivere migliaia di famiglie partenopee, narra le alterne vicende e fortune della famiglia Iovine, formata da Donna Amalia e suo marito Gennaro, tranviere disoccupato per via dei bombardamenti che martoriano la città, e i loro tre figli, Amedeo, Maria Rosaria e la piccola Rituccia.
Il vero capofamiglia è Amalia, donna forte e pratica, che per la necessità richiesta dai tempi, provvede al mantenimento della famiglia praticando con acume, furbizia sagacia e senso pratico tutto partenopeo la borsa-nera.
Acquista in proprio cioè generi di prima necessità, per lo più alimentari, facendone incetta sul mercato e rivendendoli a prezzi maggiorati.
Gennaro invece è l’anima buona della famiglia, la coscienza del popolo per bene; egli non approva la disonestà, lo sfruttamento, l’avidità e l’ingordigia del facile arricchimento indotta dai tempi burrascosi che si stanno vivendo, senza legge, senza regole, e soprattutto senza morale.
Tuttavia, non essendo uno sciocco, comprende come sono gli eventi stessi, nella loro drammaticità, a indurre le persone, prese dalla disperazione, a intraprendere atti che normalmente non oserebbero fare. Tutto sta nel dosare gli impulsi della propria coscienza, la sua partecipazione alla borsa nera è, diciamo così, una partecipazione alla buona, una complicità discreta, volta a sbarcare il lunario in attesa di tempi migliori, e non altro.
La sua presenza è un deterrente perché la moglie e i due figli maggiori in qualche modo siano frenati, non si lascino coinvolgere dal malessere, dalla smania dell’arricchimento senza scrupoli, dall'imbarbarimento che serpeggia ormai dilagante nella società in pieno evento bellico.
Cosicché, quando Gennaro scompare dopo un bombardamento, la sua assenza permette il libero sfogo dei peggiori sentimenti; ormai privi di qualsiasi freno morale, come, in effetti, fungeva Gennaro, il resto della famiglia e lo stesso basso subiscono un deciso ed evidente cambiamento, non si sa quanto del tutto volto al meglio.
Al lusso esteriore, non corrisponde però un altrettanto innalzamento della statura morale dei protagonisti, anzi, esattamente all'inverso.
In questo frangente, d’improvviso ricompare Gennaro, reduce dalla prigionia.
L’animo buono e gentile di Gennaro non è stato cambiato da questa triste esperienza, anzi, ha rafforzato in lui i sentimenti della solidarietà, della semplicità di vivere negli affetti familiari, dei buoni sentimenti. E si accorge invece, con tristezza e crudo realismo, come lo stesso non si può dire per la sua famiglia, travolta dagli eventi e che ha ormai perso di vista i valori unici ed essenziali dell’esistenza: nessuno è disposto ad ascoltarlo, nessuno vuole sentire parlare della guerra, la guerra è finita, gli ripetono, ma Gennaro sa che non è vero, che la guerra non è finita, e che sopratutto ha lasciato dietro sé tante macerie, non solo materiali.
Poi gli eventi precipitano: la figlia piccola di casa, Rituccia, sta male.
Una febbre maligna sta portandosi via la povera creatura innocente. Sarà Gennaro ad accorgersi della gravità della cosa, trascurata da tutti, e il medico subito occorso confermerà l’estremo bisogno di una medicina, probabilmente la penicillina, altrimenti la piccola morirà in breve tempo.
Il farmaco è stato fatto sparire dai vertici della borsa nera, di modo che il suo prezzo tenda a salire, e a nulla valgono gli sforzi, le corse, lo strazio di Amalia e di tutti gli altri protagonisti per trovare il farmaco, a qualsiasi costo.
Tutto il terzo e ultimo atto è di una drammaticità eccezionale, centrato su Amalia e Gennaro, la prima fuori di sé, vinta e terrorizzata all'idea di perdere non solo la piccola ma l’intero suo mondo di affetti di cui solo ora riconosce l’incalcolabile valore, finalmente conscia dei suoi errori e delle cose davvero essenziali dell’esistenza, e Gennaro, che pur vinto dall'amarezza, affronta con pietoso realismo gli eventi che travolgono i suoi cari.
L’innocente Rituccia si salverà?
Tutti si rivolgono angosciati con questa domanda a Gennaro, che risponde: “Addà passà a’ nuttata”.
Deve trascorrere la notte.
Gennaro si rifà all’antica saggezza popolare, che recita che solo quando è completamente buio, allora è possibile vedere la luce delle stelle.
Un lungo viaggio attraverso la notte è il solo che redime verso la luce.
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