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Caino, un “huomo da bene”
Pubblicato postumo un paio di mesi fa, “Autodifesa di Caino” è un appassionante monologo che il Maestro Andrea Camilleri ha lasciato ai suoi lettori dopo l’improvvisa dipartita dell’estate scorsa. Una piccola preziosa sorpresa che, a distanza di diversi mesi dall’uscita del precedente testo dedicato al personaggio di Tiresia, si contraddistingue anch’essa per l’originalità del soggetto trattato.
Non molti, infatti, darebbero tanto a cuor leggero la parola a Caino, il primo assassino della storia, sul quale pesa sempre come un macigno il racconto biblico che tutti abbiamo imparato a conoscere fin da bambini. Egli si presenta col garbo e l’abilità di un “contastorie”, riproponendo la vicenda che lo vide uccisore di Abele e insinuando riguardo a essa dubbi che non possono non indurre a riflettere meglio sulla questione.
Siamo certi che quello che passa tra i ruoli di vittima e carnefice sia un confine poi così netto? Chi potrà mai essere sicuro fino in fondo del fatto che Abele non abbia avuto a sua volta, e magari per primo, l’intenzione di uccidere suo fratello che, pertanto, potrebbe anche essersi ritrovato ad agire per paura e difesa? Non a caso, esiste una versione diversa da quella da sempre in auge, una variante che, affondando le proprie radici in antiche e misconosciute narrazioni legate per lo più alla tradizione ebraica, racconta una storia in cui il bene e il male finiscono per intrecciarsi e confondersi in maniera inevitabile; una storia secondo la quale Caino, condannato da Dio a vivere sulla terra per l’eternità, divenne addirittura fondatore di città, così come inventore di tecniche utili alla sopravvivenza umana e persino della musica. La consapevolezza “[…] che non sempre dal bene nasce altro bene e che non sempre il male genera altro male” è ben viva in lui che, “huomo da bene” come lo definì Giordano Bruno, continua a vivere in mezzo a noi in quanto simbolo, ma “[…]simbolo necessario, perché senza il male il bene non esisterebbe.”
“Autodifesa di Caino” (Sellerio editore Palermo, 2019) è un libriccino che parla di bene e male, di libero arbitrio, di pentimento, della nefandezza della tortura. Una breve lettura, ma di profonda intensità e ricca di quella sensibilità propria dello straordinario autore che è stato Andrea Camilleri.
“Ho finito davvero. Non voglio che pronunciate il vostro verdetto ora. Riflettete su quanto vi ho raccontato […] e poi decidete da voi. Secondo coscienza.”
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