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È amaro il fondo delle cose
Il libro contiene due opere teatrali scritte da Agota Kristof: “John e Joe” e “Un ratto che passa”.
John e Joe, di ispirazione beckettiana, è il dialogo quasi metafisico tra due barboni ben tenuti che siedono al tavolo di un bar, discettando sul modo migliore per pagare il conto. La scrittura sintetica, ma sempre arguta e attenta, deve rendere molto bene sulla scena perché molto spazio lascia alla capacità interpretativa degli attori, con una levità rara. Kristof non ha paura di lasciare agli spazi bianchi, ai silenzi, al ritmo delle battute tutto il carico dell’interpretazione e sicuramente non teme il rischio di incomprensione talora radicato nella sintesi. La situazione cambia quando uno dei due personaggi vince alla lotteria in maniera bizzarra. L’opera dell’autrice nota per la sua lacerante “Trilogia della città di K” è in realtà un’accurata riflessione sul tema del possesso e, di riflesso, degli ordinamenti politici che tentano di regolarlo: tanto il comunismo quanto il liberismo sembrano per l’autrice rilevare un fondo oscuro che rischia di annientare ogni relazione umana. E lo fa dire ai personaggi, che stanno prendendo il caffè: uno dei due non mette zucchero, e lo sente amaro, uno ne mette troppo e lo sente dolce. Allora i due personaggi uniscono i due caffè e lo bevono di nuovo: per l’uno sarà troppo dolce, per l’altro ancora troppo amaro.
Un ratto che passa complica invece la scena della rappresentazione, che da un lato è ambientato in un carcere, dall’altro in un salotto borghese, con una pletora di personaggi colti in medias res, tra battute sagaci e inevitabili incontri in società, in un’atmosfera sospesa e surreale in cui il confine tra vero e falso, tra realtà e fantasia diventa sempre più labile. Tra travestimenti e disvelamenti, niente è come davvero sembra, fino a un finale in cui tutto collassa e la psiche, frantumata, si ricompone. E questo valzer che all’inizio sembrava grottesco e di amara allegria, si scopre alla fine di una serietà spaventosa, aprendo con poche battute la lacerante distanza tra la morale e il diritto. Perché a volte le Leggi non sono giuste, perché a volte la giustizia è una pedina del potere.
Due opere diverse, ma animate da uno stile intelligente, calcolato, che lascia più spazio agli attori che non al testo. Certo, le opere non hanno la portata tragica o surreale di altri autori, come Beckett o Ionesco, ma restano una lettura gradevole non priva di spunti di riflessione.
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Commenti
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Stai leggendo teatro...scommetto che Ibsen è nei tuoi pensieri. Io lo adoro!
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