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Tutto il teatro
 
Tutto il teatro 2019-06-01 21:26:14 DanySanny
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    01 Giugno, 2019
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Per favore, aprite le tende

Sarah Kane si suicida nel 1999, appena ventinovenne, impiccandosi con i lacci delle scarpe che le infermiere del manicomio in cui è ricoverata le hanno incautamente lasciato. La depressione grave che l’ha accompagnata fin da ragazza, le psicosi che la tormentano e che nessun farmaco riesce a controllare, la consapevolezza di essere omosessuale in una società che troppo facilmente etichetta e condanna, prendono forma in una scrittura di allucinata violenza, smembrata e folgorante nella sua gelida, implacabile dissezione di un mondo che troppo spesso si scopre disumano. Nei cinque drammi che Sarah Kane scrive in vita si intravede la vita lacerata di una donna che si trova ad affrontare il più ostico dei muri, quello dell’incomunicabilità. I personaggi che la scrittrice mette in scena, apatici, dissociati, catalettici nella loro ipoemotività, oscillano e si perdono in dialoghi che altro non sono se non pensieri triturati e tormentati, incapaci di stringere relazioni; soli nel vuoto siderale dell’incomprensione, precipitano nelle spirali oscure della violenza, della sopraffazione, alla ricerca di una sicurezza impossibile, di un affetto tiepido tra le lenzuola, di un amore che è un’ombra seducente, sdentata, sogghignante.

Einaudi raccoglie in un unico volume i cinque drammi che l’autrice scrisse in vita: un’edizione fin troppo scabra ed essenziale, con scelte traduttive discretamente discutibili e senza testo a fronte, che pure ha il merito di far conoscere, almeno in parte, la scrittura estrema della Kane.
La raccolta si apre con “Blasted”, scoppiati, esplosi, dilaniati. Lui, un giornalista emotivamente immaturo, fedifrago e forse spia, si incontra in una camera d’albergo con una ragazza psicologicamente disturbata, che è stata sua amante un tempo e che ora tenta di sfuggire all’uso del suo corpo. Il sesso domina Blasted, il sesso come gioco di potere, come spazio della prevaricazione e il corpo come limite estremo dell’espressività. Un corpo che non ha più niente, assolutamente niente di sacro, ma che diventa la tela di mutilazione, stupri, atti di cannibalismo. Perché quando un soldato bussa alla porta cercando una vendetta impossibile per il suo amore perduto, anche Lui dovrà scontare le stesse pene che ha inferto alla ragazza.
Phedra’s love è la riscrittura dell’Ippolito di Euripide: Ippolito è un giovane grasso, apatico, ma sessualmente impegnato, latita davanti alla tv, emblema dell’homo divanus contemporaneo perché nulla sembra risvegliarlo. Fedra è la matrigna che di lui si invaghisce e che in nome dell’ennesimo amore non ricambiato, di una nuova felicità negata si suicida condannando Ippolito ad un “diasparagmos” finale, uno smembramento rituale che per un attimo, con tragica ironia, lo riporta in vita.
Per quanto brutali, le prime due opere di Kane rientrano ancora in una struttura canonica del teatro. È con il terzo dramma, Cleansed, “purificati” ma io tradurrei meglio con “epurati”, che la struttura dell’intreccio si frammenta in una miriade di scene cubiste e progressivamente sconnesse, in cui i collegamenti si nascondono al lettore e lo costringono a una lettura attenta e quasi “indovinica”. In un campus che ha tutti i tratti di un campo di concentramento, un finto dottore impone la sua legge, mutila, stupra, taglia lingue, mani, piedi e piange davanti ad una ballerina più onirica che reale.
Il quarto dramma, Crave, il desiderio, la fiamma del bisogno smembra definitivamente la possibilità del dialogo: quattro personaggi, quattro lettere, A, B, C, D parlano delle loro vite, per brevi frammenti, alternati e sordi gli uni agli altri. Non c’è filo, non c’è comunicazione, non c’è connessione tra le parti: il dramma è nervoso e snervante, difficile da leggere, perché difficile per i personaggi è essere capiti. Un teatro che si fa affilato e tormentato, accartocciato, imploso e che ci regala il monologo di A, un inno commosso e tenero all’amore, che appare il sogno irraggiungibile di una salvezza che non è di questo mondo.
Chiude la vita di Sarah Kane il disturbante “4:48 Psychosis”. Alle 4:48, dicono gli studi, è più facile il suicidio. E Kane, che dopo pochi giorni davvero sceglierà quella strada, tratteggia drammaticamente la sua mente in un episodio schizoide: ne esce un testo fluido, incoercibile, acinetico, discinetico, tremolante e pure inarrestabile, che tra elenchi di farmaci inutili e immagini di un altro spazio della mente, prova ad arginare il dramma della malattia con la terapia della scrittura. Kane quasi dipinge sulla pagina bianca, occupa tutto lo spazio del foglio, salta righe, lascia in sospeso periodi, perché al culmine della disperazione la punteggiatura è violenza, le parole cenere. E alla fine, quando la ragione bussa alla porta, può solo pregare: “aprite le tende”.

Un’autrice estrema, un teatro duro, metallico, crudele, senza ironia, cirrotico, corrosivo. L’esempio più vicino è il nauseante e indimenticabile film di Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma. La stessa perversione del potere, la stessa crudeltà degli uomini, la stessa mercificazione del corpo come oggetto da deturpare. La stessa voglia di vomitare o chiudere gli occhi. Perché nello spazio dell’incomunicabile, nella solitudine glaciale dell’anima, solo la violenza radicale può aprire uno squarcio oltre la tela. Tremenda e bellissima, leggete Sarah Kane, ma siete avvisati: stomaco forte, nervi saldi e pazienza. Siete gli ospiti della sua anima, almeno voi, ascoltatela.

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Consigliato a chi ha letto...
Woyzeck
Film: Pasolini- Salò
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Commenti

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Dany, la tua esaustiva recensione, mi ha dato un quadro di un'autrice che non conoscevo assolutamente e delle sue opere. Soggettivamente penso che queste non facciano per me. Vedo che anche tu sei andato cauto sulla valutazione relativa alla piacevolezza di lettura.
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DanySanny
02 Giugno, 2019
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Ciao Emilio, una scrittura così disperata non mi era mai capitata. Io sono uno che non si impressiona facilmente, ma questo mi ha scosso. Per altro gli ultimi due drammi, Crave è Psicosi delle 4:48 sono davvero ostici da leggere e richiedono enorme concentrazione. Credo di aver impiegato 3 ore per leggere 50 pagine quindi ecco, piacevolezza relativa
Davvero interessante e grazie per avermi fatto conoscere questa drammaturga della quale ignoravo l'esistenza. Lo stile e i temi mi incuriosiscono perché amo chi va oltre e osa con originalità e intelligenza. Leggendo la tua bellissima recensione mi richiama a mente Thomas Bernhard e Kafka. Trovare una donna in grado di scrivere alla loro altezza non è facile, infatti povera lei ha avuto un nefasto destino. Assolutamente in lista desideri.
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DanySanny
03 Giugno, 2019
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Ciao Ioana! Una lettura che merita sicuramente, ma probabilmente non nelle corde di tutti. Sicuramente un'esperienza di vita estrema e una scrittura ancora più tagliente. All'epoca fece scandalo, puoi immaginare, vedere stupri sulla scena del teatro o atti di cannibalismo. Per altro è anche un'autrice molto colta, pieni di riferimenti a Shakespeare o altri drammaturghi inglesi. Tra tutti credo il più bello sia "Cleansed", perché è sconvolgente ma ancora mantiene un suo equilibrio. Le ultime due opere invece sono sicuramente significative, ma di difficile lettura. Se ti capita, fammi sapere, mi piacerebbe un confronto su questa autrice!
Ottima recensione, Daniele, come sempre del resto. Confesso che, pur frequentando un po' il teatro, non conoscevo Sarah Kane. Sono andato a vedere su Internet un estratto di "Psicosi delle 4.48" ed effettivamente l'ho trovato agghiacciante: disperazione allo stato puro, praticamente l'Urlo di Munch trasferito sul palcoscenico. Ti ringrazio tantissimo della segnalazione, davvero preziosa.
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DanySanny
04 Giugno, 2019
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Ciao Giulio! A me l'ha fatta conoscere una mia amica che ha una storia di dipendenza seria dalla lettura, mettiamola così, e ogni tanto mi faccio dare qualche suggerimento. È davvero allucinante, disperazione pura, come dici tu. Però la lettura merita molto, davvero. Se ti capita, un'autrice su cui sarebbe bello discutere.
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