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"Per una volta ancora amami, Atena, il più possibi
…e fu anche l’impresa più alta del regno di Zeus: costringere la necessità a generare la bellezza.
Questo libro (o meglio, la sua copia cartacea) staziona – ehm ehm – nel più piccolo de miei bagni, mensola strategica, da circa tre anni. Ci appoggio sopra l’asciugamano prima di entrare nella doccia e il reader dopo aver parlato con dio. So di attirarmi copiosi strali (o forse anche no. Sono così selettiva nelle mie amicizie virtuali) ma non mi piacciono i cartacei in genere e gli Adelphi in particolare. Parlo solo dell’aspetto e della veste grafica, ma li trovo bruttarelli e tristanzuoli. Questo non fa eccezione. Mai neanche sfogliato. Poi lo vedo ad un collega a scuola, me ne faccio leggere due pagine. La storia di Alfeo e Aretusa. “Così Eros, la perenne, spietata giovinezza del mondo” mi ha colpito e fine dei giochi. Appena tornata dalla Perfida Albione mi sono immersa nel mito greco.
È stata veramente la necessità (la temutissima Anànke) a generare la bellezza? Probabilmente sì. Ma sicuramente ha generato l’amore, nelle sue declinazioni di Philia, Eros e Agape.
E come nel meraviglioso arazzo che metto in copertina, punto dopo punto, l’autore racconta storie, analizza simboli, racconta la differenza fra Eros, Philia e Agape. Così apprendiamo che “Quando Teseo si distrae, qualcuno è perduto" ed allo stesso modo che è solo Piritoo, l’amico vero, quello delle avventure balorde, del compagnonnage, ad essere davvero nel cuore di Teseo e non le sue varie donne. Philia appunto.
Quella philia che, dice Platone, in genere non è roba da donne. Tranne… tranne Alcesti che ti riduce Orfeo e le sue lagne ad un “animo molle, da citaredo che era”… come dire uno sfigato che strimpella la chitarra sulla spiaggia e che scende negli inferi solo perché spera di tornare con una ricompensa.
Ed apprendiamo anche che nonostante abbia di molto aumentato il catalogo botanico del mondo, a causa delle povere ninfe che si trasformavano in piante, piuttosto che cedere alla sua corte, Apollo abbia amato davvero soltanto Admeto, tanto da ubriacare le Moire, le figlie di Ananke, per allontanarne la morte.
"Per amore di Admeto, Apollo ubriacò le Moire: fu quella forse la festa più folle di cui sia rimasta notizia, e di cui nulla possiamo dire, salvo che avvenne. Le Moire, fanciulle dalle belle braccia che filano la vita di ogni singolo essere, appaiono nella visione plutarchea come «figlie di Ananke», la Necessità. E la Necessità, ricorda Euripide per averla conosciuta «attraversando le Muse e le cime», senza mai «trovare niente di più forte», è l’unica potenza che non ha altari e non ha statue. Ananke è l’unica divinità che non ascolta i sacrifici. Le sue figlie possono essere ingannate soltanto dall’ebbrezza. Ma è molto raro che l’ebbrezza le colpisca. Apollo riuscì a tanto, e solo per amore di Admeto, perché voleva procrastinare la sua morte."
Eros, Philia, Agape.
Alfeo e Aretusa. Cadmo e Armonia. Atena e Ulisse… ma Atena non era? Sì che lo era. Ma è anche la dea che più di ogni altra ha dimestichezza con gli uomini, quella che Odisseo sa di dover invocare, sempre, per tornare a casa: “Per una volta ancora amami, Atena, il più possibile”. La dea che accompagna e sostiene, guida; onnipresente perché “simile a tutti”.
“Per Odisseo, la presenza di Atena è quella di un colloquio segreto e incessante: con lo strido di un airone, con il timbro bronzeo di una voce, con le ali di una rondine appollaiata su una trave o con qualsiasi altra figura - perché, come Odisseo ricorda una volta alla dea, «ti fai simile a tutti» e l’eroe sa che potrà riconoscerla ovunque. Sa che non deve aspettarsi ogni volta lo splendore abbagliante dell’epifania. Atena può essere un mendicante o un vecchio amico. E’ la presenza protettrice." Amore si diceva.
Da quello tutto “di testa” con Penelope, a quelli più canonici e Aretusa e Alfeo e Cadmo e Armonia.
E se quello del cacciatore che si fa acqua per essere eternamente unito all’amata è senz’altro quello che ho amato di più “Alfeo non era un elemento della natura che ambisce a diventare un bonario personaggio allegorico, come un vecchio attore recuperabile un giorno nelle lunette di una villa rinascimentale. No, Alfeo era quel giovane dai capelli corti e dal dorso nervoso, raffigurato dal Maestro di Olimpia, che un giorno «si trasformò in fiume per amore». Era un cacciatore che un giorno decise di farsi natura. Fu l’unico amante che, al divenire acqua dell’amata, accettò di essere acqua lui stesso, senza lasciarsi arginare dai contorni di una identità. Così raggiunse una unione quale nessun uomo e nessuna donna avevano conosciuto, l’unione di due acque dolci che presto si gettano insieme nel mare.”
Di certo è a quello di Cadmo e Armonia quello a cui tutti dobbiamo essere grati:
“Cadmo aveva portato alla Grecia «doni provvisti di mente»: vocali e consonanti aggiogate in segni minuscoli, «modello inciso di un silenzio che non tace»: l’alfabeto. Con l’alfabeto, i Greci si sarebbero educati a vivere gli dèi nel silenzio della mente, non più nella presenza piena e normale, come ancora a lui era toccato, il giorno delle sue nozze. Pensò al suo regno disfatto: figlie e nipoti sbranati, sbrananti, piagati dall’acqua bollente, trafitti, sprofondati nel mare. Anche Tebe era un cumulo di rovi. Ma nessuno ormai avrebbe potuto cancellare quelle piccole lettere, quelle zampe di mosca che Cadmo il fenicio aveva sparpagliato sulla terra greca, dove i venti lo avevano spinto alla ricerca di Europa rapita da un toro emerso dal mare."
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Poi fammi sapere!
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Non ho mai letto nulla di questo autore, ma m'interessa parecchio.