Dettagli Recensione
IL DRAMMA DELL’IDENTITÀ NELLA SOLITUDINE
“Non dire felice uomo mortale, prima che abbia varcato il termine della vita senza aver patito dolore.”
L’uomo rappresentato da Sofocle nelle tragedie composte nella seconda metà del V secolo a.C. è essere umano di straordinaria modernità, intorno a lui , nell’accezione più ampia di essere appartenente al genere umano, uomo o donna dunque, gravitano destino, doti personali, valori etici, esercizio del potere. Mancano a noi contemporanei gli dei, gli oracoli ma non è forse vero che continuiamo a cercarli? Il dio denaro, il dio successo, il fanatismo religioso, l’ateismo più convinto, la fede o ancora le Pizie contemporanee che ognuno individua dove può. Ne servirebbe giusto una un po’ suonata come quella immaginata dal grande Dürrenmatt… ma soprattutto a farla da padrona, ieri come oggi, è l’estrema solitudine connessa all’esistenza individuale. “Edipo re” è appunto il dramma della solitudine misto al dramma dell’identità, altra piaga contemporanea di continua indagine e rappresentazione letteraria. È un personaggio schiacciato da un destino non voluto e non compreso che lo condanna all’isolamento sociale e alla perdita non solo degli affetti più cari ma anche della patria oltre che della vista, a siglare la verità che non bastano gli occhi per vedere ma che la lungimiranza sia prescindibile dal dono della vista. Come Creonte nell’”Antigone” Edipo è chiamato all’esercizio del potere e deve gestire a Tebe un periodo non felice, gli oracoli indicano il superamento della crisi nella giustizia all’assassinio di Laio, l’ultimo re. Edipo emette un editto che sancisce esilio perituro dalla razza umana per colui che verrà scoperto assassino del re, sappiamo tutti, tranne lui che sta condannando se stesso, figlio di Laio, omicida del padre, consorte della propria madre, generatore al contempo di figli e fratelli. La sua è la sconfitta delle doti personali di puro raziocinio, aveva lui risolto l’enigma della Sfinge con la sua intelligenza, nell’esercizio del potere, d’altronde lo stesso Sofocle nell’”Antigone” aveva affermato che la vera natura , in termini di anima, intelligenza e carattere, va a rivelarsi proprio nell’esercizio del potere. Mentre Creonte nell’ “Antigone” incarna un modello tirannico di gestione del potere che non lascia spazio all’etica, vuole impedire la sepoltura di uno dei figli di Edipo perché nemico della patria e punisce Antigone che, sfidando il divieto, gliela offre, o meglio si nutre di un’etica del potere al servizio della patria oltre ogni valore umano, Edipo è invece mosso da un’etica umana in ogni sua azione, fin da quando abbandona i presunti genitori per sfuggire all’orribile vaticinio che lui sarebbe stato omicida del padre e amante della madre. Lo stesso editto proclamato a Tebe nasce da un alto concetto di giustizia- Creonte invece reputa la gestione del potere in regime di ingiustizia che non può essere discussa altrimenti si rischierebbe l’anarchia- ma Edipo non sa di essere predestinato ad una vita di sventura nella quale la ragione nulla può. Consiglio vivamente la lettura di entrambe le tragedie; “Antigone” rappresenta senz’altro l’antidoto efficace alla futura campagna elettorale. Tenete deste le menti: i classici ci sono d’aiuto.
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Mi piace molto leggere di tanto in tanto qualche classico greco e latino, ma questa tragedia di Sofocle ancora mi manca... dovrò rimediare!
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