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Un puzzle difficile da ricomporre
Erik Satie è senza dubbio uno dei musicisti più importanti del periodo a cavallo tra ‘800 e ‘900, ed uno di quelli che meglio ha interpretato i profondi sconvolgimenti sociali, culturali ed artistici che hanno caratterizzato quell’epoca. Emblematico a questo proposito il fatto che due delle personalità artistiche a cui fu più legato, anche dal punto di vista personale furono da un lato Claude Debussy e dall’altro Jean Cocteau: due personalità che nel nostro immaginario appartengono a due epoche totalmente diverse, ma che trovano un loro preciso fil rouge proprio nell’eccentrico compositore normanno.
La musica di Satie prende infatti le mosse da atmosfere pienamente ottocentesche, sia pure rielaborate con una grande originalità, che potremmo definire postimpressioniste, riscontrabili nelle celeberrime Gymnopédies e Gnossiennes composte tra il 1888 e il 1897, per approdare, nelle composizioni del periodo a cavallo della prima guerra mondiale, ad essere una sorta di colonna sonora delle produzioni artistiche delle avanguardie cubiste, dada e surrealista. Satie divenne anzi una sorta di punto di riferimento musicale delle avanguardie, e la sua opera influenzò molti dei compositori del primo e secondo novecento.
Erik Satie (si firmava sempre con nome e cognome, anche nei biglietti trasmessi agli amici) è un coerente interprete dell’epoca che ha attraversato anche per quanto riguarda lo stile di vita e i comportamenti, che per certi versi lo accomunano ad un altro grande intellettuale dell’epoca, che in campo teatrale ha operato una rivoluzione anche più profonda di quella di Satie in campo musicale: Alfred Jarry.
Come il padre di Ubu e della Patafisica Satie visse in povertà, di lui si conosce una sola, breve relazione sentimentale con una donna e morì, sia pure di un ventennio più anziano, per l’abuso di alcool ed assenzio.
Da giovane fu affascinato dall’esoterismo ed aderì alla setta dei Rosacroce: poco più tardi avrebbe addirittura fondato una chiesa, l’"Église Métropolitaine d’Art de Jésus Conducteur", di cui però fu l’unico sacerdote e fedele; deluso da questa esperienza non si interessò più di affari religiosi.
Alla sua morte, gli amici che aprirono la stanza sempre chiusa a chiave del piccolo appartamento in cui Satie viveva ad Arcueil, alle porte di Parigi, (l’unica altra stanza era chiamata da Satie, per le sue dimensioni, l’armadio) trovarono tra l’altro, in un disordine indescrivibile coperto di ragnatele, una vera e propria collezione di ombrelli, mucchi di corrispondenza non aperta, oltre quattromila bigliettini illustrati e scritti da Satie e sette vestiti uguali: il musicista vestiva infatti sempre un completo in velluto grigio, e quando quello indossato era troppo logoro lo sostituiva con un altro acquistandone uno nuovo di scorta.
Se conosciamo bene la musica di Erik Satie, spesso utilizzata anche come colonna sonora di film, questo ponderoso volume di Adelphi, curato da Ornella Volta, musicologa triestina di statura internazionale che ha dedicato gran parte della sua opera al grande musicista francese, ha il grande pregio di farci conoscere la personalità di Satie attraverso la sua vasta produzione scritta. Uso questo termine non a caso, perché gli scritti di Satie raccolti in questo volume non sono, per la maggior parte, scritti redatti con ambizioni letterarie; ci vengono infatti proposti anche frammenti, appunti, testi di discorsi tenuti durante conferenze, aforismi scarabocchiati di notte sotto i lampioni di Parigi, commenti con cui accompagnava le sue composizioni, e persino – in rigoroso ordine alfabetico – i consigli di interpretazione scritti nelle sue partiture. Non viene detto se questa raccolta comprenda tutti gli scritti di Satie oggi disponibili, ma sicuramente, dalla tipologia descritta sopra emerge che la scelta è stata molto ampia.
Proprio l’ampiezza e l’eterogeneità degli scritti raccolti fa emergere quello che è secondo me il limite principale del libro: la sua pessima organizzazione. La gran parte degli scritti, infatti, non hanno, per il comune lettore, un significato in sé (si pensi ad esempio ai consigli di interpretazione delle partiture) ma devono essere commentati per poter comprendere il loro significato nell’ambito dell’opera complessiva di Satie, devono essere contestualizzati. Ora, questi commenti, queste contestualizzazioni nel libro ci sono, e sono anche molto dettagliate e puntuali, ma sono poste in coda all’insieme dei testi, in una sezione (che occupa circa la metà del volume) in cui Ornella Volta ne spiega il significato alla luce delle vicende personali ed artistiche di Satie. Ne risulta la necessità di saltare, subito dopo avere letto un testo, a leggere il suo commento molte pagine dopo, dovendo tornare spesso al testo per seguire il filo del commento. Veramente è incomprensibile che i commenti non siano stati posti in testa o in coda ad ogni singolo testo cui si riferiscono, agevolandone così la lettura critica. Oltre questa critica di tecnica editoriale, mi sento di avanzarne un’altra, più sostanziale, sempre relativa all’organizzazione del volume. La gran massa di testi è organizzata per sezioni logiche: troviamo così scritti raggruppati per ”Introduzioni alle opere”, per ”Articoli”, per ”Corrispondenza”, per ”Teatro” etc. Se a prima vista è un’organizzazione che appare logica, in realtà porta a non poche complicazioni nella lettura: infatti le introduzioni alle poche opere teatrali che Satie ha scritto da solo o in collaborazione con altri, ovviamente utili per comprendere le singole opere, si trovano prima delle opere stesse, con il risultato che leggendo le introduzioni non si capisce nulla delle opere, e quando si arriva alle opere è necessario tornare indietro per rileggere le introduzioni. Si aggiunga che, come detto, Satie ha attraversato un’epoca in perenne mutamento, durante la quale anch’egli ha cambiato ovviamente i propri interessi e le proprie sensibilità, e che quindi il dato cronologico risulta uno di quelli essenziali per farsi un’idea compiuta del pensiero del musicista e della sua evoluzione, e si comprenderà come l’organizzazione complessiva di questo volume sembri fatta apposta per confondere il lettore e tenerlo lontano da una piena comprensione del suo contenuto.
Detto questo, è indubbio che gli scritti di Satie ci regalano anche alcune piccole perle letterarie, che ci restituiscono appieno l’ironia di questo grande musicista, il suo grande sense of humor, la sua capacità di sferzare le convenzioni dell’epoca in cui visse e la sua grandezza di intellettuale a tutto tondo.
Se la prima sezione del libro (intitolata "Ai suoi interpreti") è solo un elenco di annotazioni musicali che può essere letto solo avvalendosi dei commenti di Ornella Volta, la seconda ("Agli altri") è il vero cuore di questo volume, ed in particolare gli Articoli meritano di essere letti attentamente per il loro valore letterario. Colmi di affetto e amicizia sono i due pezzi dedicati rispettivamente a Debussy e a Stravisnsky, che sono anche un’analisi puntuale della loro musica, ma anche molti altri degli articoli scritti per piccole o grandi riviste e quotidiani ci permettono di cogliere la grande ironia di Satie. Piccoli capolavori di humor ed ironia sono le trascrizioni delle conferenze, in particolare quella nella quale ridicolizza garbatamente i critici musicali, e I bambini musicisti in cui emerge – sempre con un tono garbato e sottile – la critica di Satie ai metodi accademici di insegnamento della musica.
In questa sezione sono anche compresi i testi di tre brevi opere teatrali scritte e musicate da Satie, delle quali senza dubbio la più importante a livello letterario è L’insidia di Medusa, del 1913, nella quale le analogie con il teatro di Jarry e la prefigurazione di quello che sarebbe stato chiamato il teatro dell’assurdo emergono appieno.
L’ultima sezione ("A sé stesso") comprende i testi più assurdi di Satie, che ci testimoniano una volta di più della sua capacità di essere, per certi versi suo malgrado, un precursore delle avanguardie novecentesche. Sicuramente da gustare appieno l’inventario della gerarchia sacerdotale della sua chiesa, di cui descrive particolareggiatamente le vesti di cerimonia e fornisce il numero di adepti (i Peneanti neri conversi avrebbero dovuto essere 1.600.000.000). Meravigliosi, anche se purtroppo non gustabili appieno perché mancanti dell’elaborazione grafica, gli annunci economici, che facevano parte dei 4.000 biglietti trovati nel suo appartamento.
Leggere questo volume permette quindi di conoscere molto meglio la poliedrica, eccentrica e per certi versi sconcertante personalità di questo grande musicista, ma questo avviene quasi a discapito del libro stesso, che per la sua organizzazione interna rende estremamente arduo riannodare i numerosi fili che dissemina lungo le sue 350 pagine. Sembra quasi che la curatrice si sia divertita a mescolare le carte, a richiedere al lettore uno sforzo di ricomposizione che somiglia molto a quello necessario per far combaciare le tessere di un puzzle.
Circa a metà del volume sono poste sedici tavole fuori testo, e tra queste vi sono alcune fotografie di Satie. Si fa fatica a riconoscere, in quella testa presto calva, incorniciata da un pizzetto, con occhialini pince-nez, in quel viso così ottocentesco, il grande precursore dell’assurdo in musica, che sin dai tempi della Musique d’Ameublement (à propos: da leggerne assolutamente la descrizione) aveva presumibilmente capito dove saremmo andati a parare quanto a funzione sociale della musica. C’è però una foto di lui con Debussy (scattata da Stravinsky…) in cui ci guarda con un’aria decisamente furbetta. Ecco, lì si capisce chi davvero fosse Satie e quante cose ci insegni ancora oggi.
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