Dettagli Recensione
Mangerà [...] è onnivoro, come noi.
Un testo teatrale, c'è poco da fare, può essere pienamente apprezzato solo nell'atto della sua rappresentazione. La lettura trasmette molto e ciò che non trasmette lo supplisce l'immaginazione, ma gli attori sono elementi essenziali, cosi come il sottile gioco di equilibri tra urla e sussurri, esitazioni ed esclamazioni, silenzi e parole. Nulla di più vero si può dire per Il dio del massacro di Yasmina Reza, visto per la prima volta al Teatro Eliseo di Roma nel 2009 e mai più dimenticato. Oggi, sei anni dopo circa, mi sono convinta a leggerlo e di seguito a recensirlo.
Nel testo nulla è superfluo; lo afferma l'autrice stessa descrivendo la scena, "Un salotto. Nessun realismo. Nessun elemento inutile." e il dramma viene introdotto ancor prima di cominciare. Le due coppie infatti, i Reille e gli Houllié ci vengono presentati in "un'atmosfera computa, cordiale e tollerante", tre aggettivi che già preannunciano quello che sarà il fulcro di tutta l'opera, ossia la dicotomia tra realtà esteriore, fatta di regole, confini e morale, e la realtà interiore, che cela gli istinti più bassi della natura umana. La causa apparente che dà il via alla vicenda è un episodio di violenza fisica subita dal figlio degli Houllié ad opera del figlio dei Reille. I quattro genitori si riuniscono per discutere civilmente dell'accaduto con lo scopo di raggiungere un accordo sul da farsi, ma la situazione si complica rapidamente sino a trasformarsi in tragedia quando la maschera della civiltà cade e la vera indole dei protagonisti si fa spazio pian piano sulla scena. Non c'è nessun reale desiderio da parte delle due coppie di raggiungere un compromesso, solo di imporre la propria supremazia sull'altro, di distruggerlo minando le sue convinzioni, perché "mors tua, vita mea", se ti uccido, sopravvivo.
Lo scontro tra le due famiglie diventa così una delle più bieche dimostrazioni della filosofia di Hobbes dell'uomo che è lupo per gli altri uomini, "homo homini lupus", secondo la quale è solo la realtà sociale, la necessità e il bisogno opportunistici di una rete di relazioni tra le persone, ad impedire un massacro. Massacro che in questo caso si snoda nella sua crudeltà più totale, perché l'evento scatenante, amplificato dal desiderio delle due coppie di difendere ad ogni costo il rispettivo bambino, sovverte le regole sociali, infrangendo il miraggio dell'ordine e della tolleranza e scatenando gli impulsi più bestiali. Di conseguenza, le parole tagliano come lame e non risparmiano nessuno, scoppiano le coppie, distruggendo qualsiasi legame di solidarietà in un crescendo sempre più serrato di meschinità, accuse e volgarità che non può far altro se non trovare la propria fine in un anticlimax di silenzi imbarazzati e imbarazzanti, come quelli di un bambino che preso dalla foga sbaglia, ma se ne rende conto solo quando è ormai troppo tardi.
L'idea che l'autrice ha della natura umana e che permea il testo può essere anche brevemente riassunta con un semplice scambio di battute presente nello stesso,
MICHEL: Senta, ne ho fin sopra i capelli di tutte queste discussioni alla cazzo di cane. Abbiamo fatto i simpatici, abbiamo comprato i tulipani, mia moglie mi ha camuffato da uomo politicamente corretto, ma la verità è che sono del tutto privo di auto controllo, sono uno che va fuori di testa.
ALAN: Lo siamo tutti.
Anche se poi alla fine sta a noi lettori/spettatori/vittime? decidere quanto ci sia di vero in questo.
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