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Distopia di decadenza
La scena si apre con Prassagora che ci introduce nel vivo dell’azione: siamo all’alba e le donne si incontrano in segreto con indosso gli abiti dei loro mariti; il piano è quello di prender parte all’assemblea straordinaria che si terrà quella mattina e votare una proposta sconvolgente: affidare il potere alle mani delle donne, più capaci amministratrici del tesoro e dello Stato. In un susseguirsi di prove comiche, Prassagora viene posta a capo dell’iniziativa in quanto la più abile con le parole. Il progetto va dunque a buon fine: le donne ottengono il governo della città di Atene. Successivamente Blepiro, marito di Prassagora, svegliatosi senza abiti, viene informato da Cremete su quanto stabilito in assemblea. Nel mentre, sopraggiunge Prassagora, che espone ai due uomini il programma del nuovo governo: principio-cardine sarà l’uguaglianza tra i cittadini, che sarà garantita attraverso un regime di comunismo di beni e persone, sotto l’amministrazione dello Stato, cosicché si elimineranno ingiustizie e soprusi, preservando la pace. Il consenso non è unanime, ma tutti sono costretti a sottostare alle nuove leggi. Il seguito della commedia sfrutta uno dei punti di tale programma: in virtù dell’uguaglianza tra giovani e vecchi, sinonimi di bellezza e bruttezza, è stato infatti stabilito che, qualora un giovane voglia fare l’amore con una ragazza, dovrà prima soddisfare le voglie di una vecchia. Ecco dunque che una giovane fanciulla e una vecchia litigano per un giovane, ragazzo che, suo malgrado, sarà costretto a seguire la seconda. Tuttavia interviene a questo punto una vecchia ancora più brutta, la quale reclama il suo diritto di precedenza, come una terza ulteriore che interviene subito dopo ad accrescere l’effetto comico della vicenda. Segue quindi la scena finale, in cui si svolge un sontuoso banchetto a casa di Prassagora e Blepiro, tra i cui festeggiamenti si conclude la commedia.
L'opera è in evidente continuità con la Lisistrata, rappresentata nel 411 e con al centro lo sciopero del sesso indetto dalle donne al fine di indurre gli uomini a firmare la pace, ma da questa si differenzia per una fondamentale caratteristica: se nel 411 la guerra del Peloponneso volgeva a sfavore di Atene, nel 391 il tracollo della città è ormai avvenuto da oltre dieci anni. La guerra si è infatti conclusa, segnando la fine della gloria ateniese e la decadenza politica e morale di una polis in cui dilagano la corruzione e il malcostume. Se dunque, come nella Lisistrata, ritroviamo la carnevalizzazione della letteratura e del teatro, che consente alle donne di giungere al potere, capovolgendo grossolanamente l’ordine precostituito della società, l’espediente viene sviluppato dal commediografo in maniera differente. Prassagora, con la sua politica apparentemente innovativa, tanto da apparire scandalosa agli uomini, si fa portavoce delle nostalgiche aspirazioni di Aristofane, che auspica un ritorno ai valori del passato che tanta gloria avevano procurato ad Atene. Nelle parole della protagonista emerge il profondo disgusto del commediografo per la realtà cittadina contemporanea, infamata da una maniacale ossessione per i processi (più volte denunciata nelle sue opere), dalle delazioni dei sicofanti, dalla menzogna e della cospirazione contro l’ordinamento democratico, dalla corruzione dell’etica familiare, mentre ormai lontano è il ricordo del mondo degli eroi. La strada verso il “rinnovamento conservatore” presenta lampanti analogie, immediatamente riscontrabili, con l’idea politica che Platone (si ritiene, generalmente, in seguito) esprimerà nella Repubblica: uguaglianza tra i cittadini e comunismo di beni, donne e figli. E’ lecito ritenere che Aristofane si aggreghi ad un pensiero politico che prendeva sempre più piede nell’Atene post-guerra del Peloponneso, un’Atene segnata da una pseudo-democrazia corrotta e internamente lacerata da rivalità e bramosie. Funzionale a questo intento risulta la scelta di porre come paladine di questo nuovo ordine le donne; ancora una volta, infatti, non siamo di fronte ad un’opera di rivendicazione sociale, ma, in linea con la misoginia della società ateniese, l’acquisizione del potere da parte delle donne non è altro che l’ennesimo colpo a uomini vili e incapaci anche di dominare sul sesso debole, perché comicamente presi da bisogni scatologici. Tuttavia, a differenza di quanto accade nella Lisistrata, in cui l’iniziativa delle donne ottiene successo e garantisce la tanto agognata pace, nella commedia in questione immediatamente vengono a galla problemi legati alle nuove leggi, rappresentati con la consueta sapienza comica nella scena del giovane conteso, in cui si potrebbe anche leggere un’ulteriore critica alle donne, di cui si sfrutta la fama di beone e di sfrenatezza sessuale. Le vecchie leggi non possono più sussistere nella nuova Atene, poiché, se immutato è il loro valore morale, non lo è l’etica sociale, degli uomini e delle donne senza distinzione. Il mondo alla rovescia dunque consente ad Aristofane di creare una sorta di distopia improntata alla decadenza della città, alla quale si riferisce concretamente attraverso rotture dell’illusione scenica atte a coinvolgere il pubblico teatrale (in gran parte maschile) nelle critiche addotte per bocca di Prassagora. Alla speranza mostrata dal finale della Lisistrata subentra qui da un lato il disincanto del poeta, dall’altro l’illusione degli uomini, evidenziata dal sontuoso banchetto di festeggiamento in casa di Prassagora, mentre là fuori tre vecchie litigano per portarsi a letto un giovane desideroso dei piaceri di una fanciulla.
Commenti
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La tua recensione è, come sempre, molto interessante.
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Trovo questo tipo di critica il più costruttivo per comprendere veramente un'opera.