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Eroina o anti-eroina?
La Medea è certamente una delle più celebri tragedie di Euripide, in cui, fedele al suo linguaggio riccamente patetico, tocca vertici stilistici, ritraendo con mirabile maestria personaggi diversi tra loro e già di per sé molteplici, per via degli scontri della loro personalità, garantendo ai posteri una vasta gamma di possibilità per interpretazioni e rivisitazioni che consacreranno la fama millenaria, su tutti, di Medea.
Medea, dopo aver aiutato Giasone e gli Argonauti a conquistare il vello d’oro, abbandonando suo padre e la sua terra, la Colchide, si è trasferita a Corinto con suo marito e i loro due figli. Tuttavia Giasone l’ha ora abbandonata per sposare la figlia del re Creonte. La protagonista prorompe in urla e maledizioni, lamentando la condizione di inferiorità e sottomissione cui le donne sono obbligate nei confronti degli uomini come mai aveva fatto nessun altro personaggio femminile. Temendo ritorsioni da parte sua, Creonte le comunica che deve lasciare Corinto immediatamente; tuttavia con abili suppliche, Medea ottiene un giorno in più, tempo sufficiente per mettere in atto la sua vendetta. I suoi propositi vengono ulteriormente alimentati dal primo dialogo con Giasone, il quale tenta di giustificare il suo nuovo matrimonio come un bene per i suoi figli e offre alla donna sostegno economico, trattando da sciocca Medea, rea di essersi fatta cacciare per la sua insulsa gelosia; questa, tuttavia, appare dialetticamente più abile e con fermezza rifiuta l’aiuto del marito. Si passa dunque all’attuazione del piano: dopo aver ottenuto dal re Egeo giuramento di protezione e ospitalità in cambio del suo servizio per le arti magiche, proprio di queste ultime si serve per avvelenare un peplo e un diadema d’oro che con l’inganno porgerà alla nuova moglie di Giasone; in seguito, ucciderà i due figli, per annientare interiormente suo marito. Pertanto, si finge pentita in un secondo dialogo con quest’ultimo, che ingenuamente le crede e accetta di farsi mediatore presso la nuova moglie, cui saranno recati i doni direttamente dai suoi figli. Alla notizia dell’avvenuta consegna dei doni, Medea è presa dal primo attimo di esitazione di fronte ai visi dei figli, ma ne esce invocando l’azione della sua mano. Giunge così il messaggero ad annunciare la straziante morte della ragazza e anche di Creonte, intervenuto per aiutarla; può quindi aver luogo, tra atroci urla e tra i commenti del disperato coro, l’uccisione dei bambini. Accorre Giasone in scena, che apprende ciò che la donna ha compiuto, inveendo contro Medea, la quale gli mostra i figli morti e ritorce su di lui la colpa. Medea appare sul carro alato del Sole (padre di suo padre), con cui si allontana da Atene, mentre Giasone continua a maledirla spezzato dal dolore.
Medea è uno dei personaggi più controversi e affascinanti della letteratura classica, più volte ripreso e riadattato da svariati autori, dal mondo antico fino all’età contemporanea. La Medea euripidea, quella originale, è inserita in un contesto sociale che non le permette di esser donna come vorrebbe e come ritiene che sarebbe giusto essere. Perché nell'antica Grecia le donne non hanno diritto alla vendetta, non hanno diritto al rispetto dei giuramenti da parte del loro marito, che al contrario è libero di vagar per altri letti se insoddisfatto o per qualsivoglia motivo desideroso. Medea è una donna ferita e interiormente martoriata da un dolore che non le ha tolto il coraggio di sfidare i suoi nemici, apparentemente più potenti di lei. Ed è così che decide di compiere la sua vendetta, crudele e a tratti folle, solo per recar dolore al marito Giasone traditore. E’ tuttavia un errore affermare, come potrebbe apparire a una superficiale interpretazione, che in lei la lotta tra ragione e passione volge a favore di quest’ultima. Donna disperata e annientata dai suoi sentimenti, Medea tuttavia punisce suo marito con lucida pianificazione e non perde mai la sconvolgente razionalità che contraddistingue il suo personaggio e che ne costituisce un secolare motivo di interesse e dibattito.
Totalmente offuscati da lei appaiono, invece, i personaggi maschili del dramma. Sia Creonte che Giasone soccombono di fronte all’abilità dialettica e all’agilità di pensiero di Medea, capace di soggiogare entrambi con disarmante facilità. Come di frequente nelle sue tragedie, Euripide marca a più riprese la superiorità della protagonista femminile rispetto a quelli maschili. In particolare, dai suoi discorsi traspare un ritratto di Giasone antieroico, con un vuoto parlare altisonante ma scarsamente efficace, se paragonato a Medea; inoltre egli evidenzia la sua meschinità facendo dell’amore un semplice mezzo per il potere.
A costoro, si aggiungono personaggi come la nuova sposa di Giasone (mai nominata e mai in scena) e i due figli (muti, tranne nelle grida al momento dell’uccisione) marginali, ma non insignificanti: la loro morte testimonia che a pagare il prezzo più alto sono di frequente i deboli e gli innocenti.
Oltre al contrasto tra ragione e sentimento che domina Medea e a quello tra dialettica e puro sfoggio di retorica tra Medea e Giasone (che si potrebbe leggere come una critica alla talvolta vuota sofistica, da cui pure il tragediografo è ampiamente influenzato), bisogna segnalare il contrasto tra i mondi culturali, esemplificati nel modelli familiari, proposti nella tragedia: Medea, che viene dalla Colchide, simboleggia la cultura orientale, rozza e barbara ben messa in risalto dalle inquietanti pratiche magiche; Giasone invece incarna l’ideale cultura dell’Atene del V secolo, nelle sue giustificazioni e nei suoi discorsi sulla famiglia, di stampo patriarcale e criticati come discriminatori dalla protagonista, il cittadino medio poteva agevolmente riconoscersi. La vittoria finale della barbara segna una sconvolgente critica alla società ateniese; è facilmente immaginabile dunque il motivo per cui Euripide era tanto inviso alla popolazione e questa tragedia non fu apprezzata al momento della sua messa in scena.
Eroina o anti-eroina? Nella sua tragicità Medea è un personaggio di difficile interpretazione e valutazione morale. Pur incarnando infatti la donna distrutta, non dà quasi mai segni di debolezza, anzi le sue passioni sono così forti da spingerla ad agire con una razionalità fredda, quasi agghiacciante, in grado di superare anche i fugaci momenti di esitazione. Forte è in lei lo scontro tra giustizia e ingiustizia, che si estende su un piano di etica sociale (rapporti uomo-donna, donna-potere) ma anche di etica privata (genitori-figli, marito-moglie) ma rimane un dubbio fondamentale: chi vince?
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" La passione non ha niente di festoso " .