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Il duro lavoro dell'attore
Il metodo Stanislavskij: tutti coloro che si sono avvicinati al teatro anche solo a livello amatoriale ne hanno sentito parlare. Moltissimi attori e registi si vantano di utilizzarlo, ma gran parte delle volte si tratta di un fraintendimento di ciò che chiede tale metodo. Non si tratta, infatti, della semplice, totale immedesimazione nel personaggio, come molti credono. Il metodo è composto da molte fasi, gran parte delle quali razionali e costruite a tavolino, che si uniscono a una ricerca dell’immedesimazione nella parte. E’ un percorso difficile e anche rischioso per la psiche dell’attore, che deve esercitare un grande controllo su se stesso.
Konstantin Stanislavskij nacque 150 anni fa in Russia e fin dall’infanzia fu educato al mondo teatrale e musicale. Attore e regista, non soddisfatto del manierismo che imperava nel teatro del suo tempo, si applicò per creare un metodo di lavoro alternativo, che portasse a una recitazione più “naturale”. Non disinvolta, ma volta a ricreare la realtà, senza artifici o esagerazioni innaturali. Scrisse due tomi in cui riassunse il suo pensiero sul teatro tramite lezioni: “Il lavoro dell’attore su se stesso” e “Il lavoro dell’attore sul personaggio”. I suoi insegnamenti confluirono nel metodo Strasberg dell’Actor Studio, che però travisò non poco il pensiero di Stanislavskij. A oggi, sono ben pochi coloro che possono affermare di usare davvero questo metodo.
Lo scopo dei due tomi è offrire uno scorcio su quello che dovrebbe essere il training di un attore secondo Stanislavskij, un percorso fatto di compiti ben precisi, recupero e utilizzo delle emozioni, totale consapevolezza di quanto avviene una volta sul palco.
“Il lavoro dell’attore su se stesso” è una sequenza di lezioni viste attraverso il punto di vista di un allievo, nuovo iscritto alla scuola. Il regista Arkadij Nikolaevic Torcov (che poi è Stanislavskij stesso) cercherà attraverso esercizi ben mirati ed esperienze a volte complesse di mostrare alla classe cosa si richiede ad un attore e quali sono le trappole a cui prestare attenzione.
La prima cosa che Stanislavskij ricerca, infatti, è la verità dell’interpretazione. Vero sentimento, vera intenzione. Niente manierismi né cliché, che trasudano finzione e costituiscono solo un codice artefatto che con la recitazione c’entra poco o nulla. Un conto è acquisire il mestiere ed essere in grado di replicare la medesima performance più e più volte con la stessa partecipazione; un altro è recitare in maniera meccanica e vuota, pensando solo a portare a casa il risultato.
Nella prima sequenza di lezioni, il lavoro di Stanislavskij si basa soprattutto su questo: verità d’azione e di sentimento. I temi trattati sono molteplici e cercano di dare voce a tutti i campi di lavoro dell’attore su se stesso che secondo Stanislavskij sono fondamentali.
Viene mostrata, ad esempio, la differenza tra una recitazione inutilmente enfatica e senza scopo e la stessa scena recitata con un obiettivo ben preciso. Si dà grande importanza alla stimolazione dell’immaginazione. Per un attore è fondamentale andare oltre ciò che è scritto sul copione. Occorre essere in grado di immaginare un prima e un dopo, un contesto, saper visualizzare quanto circonda il proprio personaggio.
Parla poi di due temi estremamente importante: il compito e “il magico se”. L’attore, in scena, non deve aggirarsi senza scopo. Esistono compiti psicologici e compiti fisici che vanno definiti fin dall’inizio. Questo non solo rende molto più efficace la recitazione in scena, ma costituisce anche un aiuto non indifferente per la memoria. Utilizzando il “…e se…” come stimolo alla creazione e visualizzando con precisioni i propri compiti in scena, l’attore stimola al contempo creatività e un piano d’azione che gli consenta di mantenere sempre la concentrazione oltre una certa soglia.
Viene stimolata la memoria emotiva. Un attore deve essere in grado di riportare alla mente sensazioni, emozioni e sentimenti che possono essergli utili nella costruzione del personaggio. Non è necessario aver vissuto le stesse esperienze di colui che si interpreta: basta trovare una chiave personale che metta l’attore sulla sua stessa lunghezza d’onda. L’emozione rievocata può diventare un danno per l’attore, se lasciata libera di esprimersi senza razionalità. L’attore deve sempre avere il controllo sulle proprie emozioni, per impedire che queste si manifestino in modo tale da rovinare la sua performance. L’attore è veicolo dell’emozione, non serve a nessuno che ne sia sopraffatto. Questo è il più grande fraintendimento a cui il concetto di immedesimazione può portare.
Il secondo volume è una raccolta di appunti più o meno codificati lasciati da Stanislavskij in forma non definitiva e segnano un’ulteriore evoluzione del suo pensiero, che conferisce maggiore importanza ai compiti fisici quali catalizzatori dell’immedesimazione psicologica. Vengono prese in esame alcune messe in scena, a volte sotto forma di lezione ed altre come flusso libero di pensieri.
Due letture essenziali per chi si occupa di teatro.