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Casa di bambola
 
Casa di bambola 2013-06-16 23:13:17 DanySanny
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Contenuti 
 
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    17 Giugno, 2013
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Casa di bambola

Marito, casa, figli, educazione e denaro: questi gli imperativi dell'ottica borghese.
Maschilismo, ipocrisia, arrivismo: questo il retroscena culturale di una mediocrità abnorme, oscena, spaventosa.
Femminismo, il male da debellare. Anzi, l'interrogativo perennemente posticipato, la richiesta spasmodica di donne alla ricerca di libertà, indipendenza.
Dramma: lo scontro tra apparenza e essere.

Questa l'effervescente borghesia di pieno 800', un carnevale sordido, continuo; maschere sociali ed affettive, labirinto intricato tra i cui meandri si nasconde una personalità individuale, sacrificabile eppure pulsante, tanto forte non poter essere cambiata, non abbastanza per non essere mimetizzata, anzi, dimenticata. Un ricettacolo di apparenza che tra i ricami dorati della ricchezza e del progresso scientifico, è dissolvimento della dignità, rinuncia a se stessi, prostituzione dell'individualità. Moneta di cambio: la convenienza sociale, l'adesione all' "educazione della società". Cos'è poi quest' educazione sociale se non un'altra dannosa, nonché priva di significato, difesa del mondo dall' istintualità dell'uomo? Da quella ferinità connaturata così temuta, così stigmatizzata da essere ingabbiata nei dettami comuni?

Di questa società è figlia Nora. Non donna, ma bambola, creatura plasmata prima da un padre, poi da un marito, assuefatta dal fascino ipocrita della società borghese, plagiata da una natura (quella di femmina) non riconosciuta, mezzo per la figliazione, la celebrazione sociale. A questo è consacrata, una marionetta che latita in una casa mediocre, sognante per la promessa di uno stipendio più altro ovvero più prestigio sociale. Eppure le tre dimensioni in cui vive non sono altezza, lunghezza, larghezza, non è uno spazio fisico; sono marito, figli, il "cosa penseranno i vicini" lo spazio in cui vive, la prigione in cui sconta la pena di essere nata donna. Eppure per quanto la vita possa essere il frutto di un piano altrui, per quanto le proprie azioni possano esser propaggini di un'altra mente, rimane l'amore. L'emozione che non si può sopprimere nonostante tutto: sentimento che talora erompe, dettato più dalla disperazione, che dall'autenticità aprioristica, causa di azioni che nemmeno il tempo cancella. E quando il passato torna, quando la tensione fra apparire e consapevolezza di sé diviene insostenibile, quando l'io concepisce se stesso, anche solo per paura, allora la convenienza sociale crolla. L'io si sostituisce al noi, ovvero lo scandalo. Allora Nora capisce ciò che è: non madre, non moglie, ma donna. Eppure comprendere non è accettare, e il finale è solo un silenzio infranto.

Con uno stile secco, limpido, disincantato, Ibsen smaschera l'ipocrisia della società borghese, fotografa con realismo implacabile, amaro, scattante, il mondo a lui contemporaneo, la falsità di una classe sociale viziata dalle buone maniere, dal perbenismo, pronta ad occultare, a nascondere, a fingere pur di salvaguardare se stessa. Il risultato è un ritratto impietoso, che ammicca al femminismo allora emergente, senza però soffermarsi su esso. L'attenzione non gravita sui personaggi, né tantomeno sul contenuto, né sulle emozioni: polo strutturale è il dramma in se stesso, la tragedia che si consuma, inevitabile, fatale. Eppure per un lettore moderno, assediato dalla tragica cronaca quotidiana, sempre più macabra, sempre più scandalosa, infarcito di spot sulla difesa delle donne (non che non siano necessari), non può pienamente percepire le radici della rivoluzione che il libro testimonia. Troppo distante, quasi scontata.

L'attenzione invece è per l'antinomia tra donna e bambola: l'essere umano pretende libertà, la idealizza, la consacra, anzi, la mistifica, eppure ne è annichilito, terrorizzato: annientato dal peso della responsabilità delle proprie azioni. E' per questo che il vero paradiso perduto è l'infanzia: la libertà di non essere responsabili. Ma questo non è la riflessione di Ibsen, non è quella dell'Ottocento. E per evitare di condizionare erroneamente il lettore, anche questa, di riflessione, deve fermarsi qua.

(E' un'opera teatrale, il voto di approfondimento è dettato da semplici necessità di media)

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Bellissima recensione! Analitica, dettagliata, tecnicamente ineccepibile eppure emozionante e sentita. Non è mai facile recensire un classico e accostarsi ad autori così impegnativi, lo hai fatto con maestria e delicatezza, riuscendo anche a comunicare i legami che l'opera può (purtroppo) avere con l'attualità. Bravissima! Domitilla.
Hai uno stile straordinariamente maturo! Bravo, anche per aver ricordato un'opera importante.
Bella recensione, ho amato questa piece teatrale!
Complimenti!
Grazie Domitilla! E piacere di "conoscerti"

@Sharma, SARY: grazie anche a voi!

@Cristina: Grazie! Chissà perchè questo testo non è annoverato tra i "classici classici".
Analitica, precisa, ben costruita recensione! Ti faccio tutti i miei complimenti! Anche se non condivido il pensiero sulla educazione sociale che ha si dei difetti ma ma anche molti vantaggi.
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DanySanny
17 Giugno, 2013
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Lo immaginavo, ma voglio esempi di vantaggi.
La civiltà del perbenismo ha fallito miseramente.
In risposta ad un precedente commento
Ale96
17 Giugno, 2013
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Il perbenismo e l'ipocrisia sono delle conseguenze di una società nata per porre rettamente ordine ai rapporti degli umani e sì a trattenere la loro bestialità differenziandoli così dalle fiere. Il mondo che proponi tu è quello dell'anarchia, del menefreghismo impulsivo che porta alla disgregazione di ogni rapporto dove i figli mangiano i padri, i padri massacrono i figli, dove ognuno può uccidere l'altro impudentemente.Il risultato di tutto ciò è l'estinzione del genere umano e la demolizione della terra. Ci vuole ordine perché la vera libertà non è quella di poter fare quello che più piace ma è la libertà delle leggi che garantiscono la giustizia e l'equità e la tutela del proprio simile. Tutto ciò è possibile grazie al nostro intelletto e non alla ferinità consone alle bestie e non al buon senso degli uomini.
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DanySanny
17 Giugno, 2013
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Nonostante tutto le guerre ci sono state, i massacri pure, così come gli omicidi, gli stupri e cose del genere. Eppure ci sono le leggi. Come insegna Aristotele le leggi non bastano, perchè l'uomo risponde anche alla propria indole, che in definitiva è la legge di natura, ovvero una correzione della legge umana, che per quanto corretta è frutto della corruzione dell'uomo. Io non propongo una società antitetica a quella appena trascorsa, soltanto una sua correzione. I toni aspri sono soltanto una provocazione. Dunque i padri non saranno mangiati dai figli perchè è la natura stessa che regola la vita. O meglio, li uccideranno come è stato fino ad oggi, magari per denaro, per l'eredità. Che poi denaro ed eredità sono una creazione dell'uomo e non nell'uomo, esacerbati dall'arrivismo della società attuale, propaggine (per dirla tutta poco originale) della borghesia ottocentesca.
P.s.: l'intelletto è limitato, l'illuminismo è fallito.
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