Dettagli Recensione
Casa di bambola
Marito, casa, figli, educazione e denaro: questi gli imperativi dell'ottica borghese.
Maschilismo, ipocrisia, arrivismo: questo il retroscena culturale di una mediocrità abnorme, oscena, spaventosa.
Femminismo, il male da debellare. Anzi, l'interrogativo perennemente posticipato, la richiesta spasmodica di donne alla ricerca di libertà, indipendenza.
Dramma: lo scontro tra apparenza e essere.
Questa l'effervescente borghesia di pieno 800', un carnevale sordido, continuo; maschere sociali ed affettive, labirinto intricato tra i cui meandri si nasconde una personalità individuale, sacrificabile eppure pulsante, tanto forte non poter essere cambiata, non abbastanza per non essere mimetizzata, anzi, dimenticata. Un ricettacolo di apparenza che tra i ricami dorati della ricchezza e del progresso scientifico, è dissolvimento della dignità, rinuncia a se stessi, prostituzione dell'individualità. Moneta di cambio: la convenienza sociale, l'adesione all' "educazione della società". Cos'è poi quest' educazione sociale se non un'altra dannosa, nonché priva di significato, difesa del mondo dall' istintualità dell'uomo? Da quella ferinità connaturata così temuta, così stigmatizzata da essere ingabbiata nei dettami comuni?
Di questa società è figlia Nora. Non donna, ma bambola, creatura plasmata prima da un padre, poi da un marito, assuefatta dal fascino ipocrita della società borghese, plagiata da una natura (quella di femmina) non riconosciuta, mezzo per la figliazione, la celebrazione sociale. A questo è consacrata, una marionetta che latita in una casa mediocre, sognante per la promessa di uno stipendio più altro ovvero più prestigio sociale. Eppure le tre dimensioni in cui vive non sono altezza, lunghezza, larghezza, non è uno spazio fisico; sono marito, figli, il "cosa penseranno i vicini" lo spazio in cui vive, la prigione in cui sconta la pena di essere nata donna. Eppure per quanto la vita possa essere il frutto di un piano altrui, per quanto le proprie azioni possano esser propaggini di un'altra mente, rimane l'amore. L'emozione che non si può sopprimere nonostante tutto: sentimento che talora erompe, dettato più dalla disperazione, che dall'autenticità aprioristica, causa di azioni che nemmeno il tempo cancella. E quando il passato torna, quando la tensione fra apparire e consapevolezza di sé diviene insostenibile, quando l'io concepisce se stesso, anche solo per paura, allora la convenienza sociale crolla. L'io si sostituisce al noi, ovvero lo scandalo. Allora Nora capisce ciò che è: non madre, non moglie, ma donna. Eppure comprendere non è accettare, e il finale è solo un silenzio infranto.
Con uno stile secco, limpido, disincantato, Ibsen smaschera l'ipocrisia della società borghese, fotografa con realismo implacabile, amaro, scattante, il mondo a lui contemporaneo, la falsità di una classe sociale viziata dalle buone maniere, dal perbenismo, pronta ad occultare, a nascondere, a fingere pur di salvaguardare se stessa. Il risultato è un ritratto impietoso, che ammicca al femminismo allora emergente, senza però soffermarsi su esso. L'attenzione non gravita sui personaggi, né tantomeno sul contenuto, né sulle emozioni: polo strutturale è il dramma in se stesso, la tragedia che si consuma, inevitabile, fatale. Eppure per un lettore moderno, assediato dalla tragica cronaca quotidiana, sempre più macabra, sempre più scandalosa, infarcito di spot sulla difesa delle donne (non che non siano necessari), non può pienamente percepire le radici della rivoluzione che il libro testimonia. Troppo distante, quasi scontata.
L'attenzione invece è per l'antinomia tra donna e bambola: l'essere umano pretende libertà, la idealizza, la consacra, anzi, la mistifica, eppure ne è annichilito, terrorizzato: annientato dal peso della responsabilità delle proprie azioni. E' per questo che il vero paradiso perduto è l'infanzia: la libertà di non essere responsabili. Ma questo non è la riflessione di Ibsen, non è quella dell'Ottocento. E per evitare di condizionare erroneamente il lettore, anche questa, di riflessione, deve fermarsi qua.
(E' un'opera teatrale, il voto di approfondimento è dettato da semplici necessità di media)
Indicazioni utili
Commenti
14 risultati - visualizzati 1 - 10 | 1 2 |
Ordina
|
@Sharma, SARY: grazie anche a voi!
@Cristina: Grazie! Chissà perchè questo testo non è annoverato tra i "classici classici".
La civiltà del perbenismo ha fallito miseramente.
14 risultati - visualizzati 1 - 10 | 1 2 |