Dettagli Recensione
Spregiudicato
ALAN Lei non immagina, signora…
MICHEL Véronique.
ALAN Lei non immagina, Véronique, quanto mi sento coinvolto. Mio figlio ferisce un altro bambino…
VERONIQUE Volontariamente.
ALAN Ecco, questo è il genere di osservazioni che mi manda in bestia. Volontariamente, lo sappiamo.
VERONIQUE Ma la differenza è tutta qui!
La differenza è che loro sono degli attori. Mentre il lettore la vittima della sceneggiatura della francese Yasmina Reza. Vittima, nel migliore dei sensi possibili. Esilarante, sagace, ma allo stesso tempo molto profonda, la sceneggiatura d’oltralpe del 2006 ha l’effetto dell’elio inalato coscenzionsamente: una massiccia dose di risa. Spumoso nella stesura e idem nella realizzazione della traduzione di L. Frausin Guarino e E. Marchi, “Il Dio del Massacro” mostra inesorabile lo sgretolarsi del mondo civilizzato, che si piega inevitabilmente all’approquinquarsi della bruta forza del, appunto, dio della carneficina, ovverosia il sempiterno spettro della più antica delle nostre anime: l’istinto animale. O meglio sia, l’istinto animale di protezione nei confronti dei propri cuccioli. Le due coppie vedono scomparire, poco a poco, quelle maschere di benevolenza e dignità che fin dall’inizio hanno indossato l’una per l’altra, composte, attente a non tradire il minimo rigurgito di quell’antica bile che in ogni caso è pilastro stesso della loro esistenza. Come bestie obbligate al comportamento umano che presto rendono vive le avvisaglie di una nuova trasformazione, di un ritorno alle origini, così per le due coppie forti si fanno presenti i luccichii di una rapida virata verso quelle sirene che sentono e che non vorrebbero ascoltare. Ma il dio della carneficina attende dietro le quinte di entrare in scena, di prendere piede nel minuto salotto borghese che, triste, si erge a baluardo finale di una società che ostenta valori che in realtà non possiede neanche negli angoli più reconditi della propria mente. Quando infine la commedia sarà finita, tutti si renderanno conto che è troppo tardi per cercare di incollare nuovamente al loro posto le facce teatrali che hanno ormai perso ogni credibilità e con duro rammarico potranno solo uscire di scena in silenzio.
“Il dio del massacro” mette a nudo la debolezza dell’uomo che non ha disposizione mezzi reali per affermare le proprie convinzioni. Le due coppie sono entrambe chiuse nelle torri delle loro convinzioni e non s’accorgono, impegnate come sono a fingere di essere delle persone civili, che la frana provocata dalle loro emozioni (e dall’alcool) travolgerà infine tutte le loro impostazioni, se non loro stessi. L’alterco che i due marmocchi hanno creato nei giardinetti diventa velocemente un pretesto per imporsi reciprocamente una dominazione borghese, fatta di etichette e di comportamenti, più che d’umanità o sensazioni. Non riescono, forse, le due coppie ad accettare che almeno i loro figli hanno avuto il coraggio di reagire d’impulso, di affrontare i loro istinti nel modo che ogni genitore conosce: la lite. La coscienza che i loro pargoli non sono poi così borghesi come loro dicono di essere, smuove gli adulti dal loro piedistallo, pericolosamente li fa tremare nelle loro nicchie dorate e questi, automaticamente, si aggrappano agli ultimi rimasugli del loro Io, fino ad implodere, provocando un’onda d’urto letale, ma reale.
VERONIQUE Non si sono torti da entrambe le parti! Non si confondono vittime e carnefici!
ANNETTE Carnefici!
MICHEL Oh Veronique quanto rompi, ne abbiamo le scatole piene di questi sproloqui infarciti di banalità!