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Recensire libri senza leggerli
Questo libro dovrebbero leggerlo tutti, almeno questo! Anzi i libri sono due. Dovrebbero leggerli chi si occupa di libri: in rete, sui giornali, in TV, alla radio, nelle parrocchie, nei cinema, nei circoli, nelle scuole, nelle università, insomma ovunque si possa incontrare chi con i libri ci lavora, ci vive, li pensa, li scrive, li legge, li stampa, li pubblica, li colleziona, insomma li conosce, o almeno così crede. La domanda, anzi le domande sono due: ma è vero che i libri, ormai, non si leggono più perché è inutile e perché comunque è una perdita di tempo? Se la risposta è, in entrambi i casi, sì, allora siamo a posto. Io, questo dubbio ce l’avevo da diverso tempo, cioè da quando navigo, leggo e scrivo, avendo più tempo a disposizione perché non leggo più altri libri, cioè quelli che dovevo leggere per forza quando lavoravo a scuola. Già allora, durante i miei anni di insegnamento, avevo avuto questo dubbio. Mi domandavo spesso: ma qui dentro, dentro le mura della scuola, i libri si leggono davvero o è tutta una turlupinatura? La mia era una intuizione corretta. Ora lo so. C’è chi sostiene che nessuno legge, perché ormai è inutile. Ma tutti voglio parlare di libri. Io credo invece che, sui libri, tutti ci vogliano soltanto “campare”. Un verbo, “campare”, che si usa a Napoli e che è ben diverso da “vivere”. Leggetevi questo articolo e fatemi sapere. Poi compratevi anche i due libri che trovate al link. Io non li ho letti, ma credo a quello che scrive l’autore dell’articolo. Tanto per cambiare!
«Una concezione eccessivamente ristretta della letteratura, che la esula dal mondo nel quale viviamo, si è imposta nell'insegnamento, nella critica e anche a numerosi scrittori. Il lettore, lui, cerca nelle opere qualcosa che possa dare un senso alla sua esistenza. Ed è lui ad avere ragione». In questo passaggio si può riassumere la tesi del semiologo franco-bulgaro Tzvetan Todorov che in un agile pamphlet, "La littérature en péril" (Flammarion, 12 euro), ragiona sulla necessità di uscire da quella che definisce la triade formalismonichilismo-solipsismo. Il formalismo, scrive Todorov, ha portato a trascurare il contenuto di un'opera privilegiando l'analisi della sua forma e della sua struttura. L'analessi, la prolessi, la metonimia, la poetica, la retorica e così via sono certo «oggetti di conoscenza» ma rimangono delle «costruzioni astratte, dei concetti costruiti dall'analisi letteraria per affrontare un'opera». Da soli, questi concetti non permettono di capire il senso delle opere, «il mondo che evocano». All'esame di maturità si chiede così agli allievi quale sia «la funzione di un elemento del libro in rapporto alla sua struttura d'insieme. (...) Il ruolo di tal personaggio, di tal episodio, di tal dettaglio nella ricerca del Graal» ma niente «sul significato stesso di quella ricerca». Si vorrà sapere se «Il Processo appartiene al registro comico o a quello dell'assurdo» come se il contributo di Kafka nella storia del pensiero europeo non fosse che un inutile dettaglio. Arte e negazione
Per Todorov «la via intrapresa oggi dall'insegnamento letterario», privilegiando il formalismo, «potrà difficilmente portare a un amore della letteratura» il cui oggetto è «la condizione umana». Chi legge e capisce la letteratura, continua Todorov, «diventerà non uno specialista dell'analisi letteraria ma un conoscitore dell'essere umano. (...) Quale migliore preparazione a tutte le professioni fondate sui rapporti umani ?». Una letteratura che, per Todorov, dovrebbe permettere «di meglio capire l'uomo e il mondo, per scoprirvi una bellezza che arricchisca l'esistenza; così facendo [l'uomo] capisce meglio se stesso». Una bellezza esclusa dal secondo elemento della triade evocata da Todorov, il nichilismo, che nega la consistenza di qualsiasi valore, l'esistenza di qualsiasi realtà e che dominerebbe «la letteratura e la critica giornalistica in Francia, in questo inizio di XXI secolo». «Una visione del mondo - scrive Todorov - secondo la quale gli uomini sono stupidi e cattivi, le distruzioni e le violenze dicono la verità della condizione umana e la vita è l'avvenimento di un disastro». La letteratura, e l'arte più in generale, diventa allora la rappresentazione della negazione. Per non essere considerata «insopportabilmente sciocca» un'opera deve lasciar perdere i «buoni sentimenti» e «rivelare l'orrore definitivo della vita». L'ultimo elemento di quella triade che starebbe portando al disastro la letteratura in Francia è il solipsismo, tesi filosofica che fa di se stessi la sola realtà e del resto solo una propria percezione. Un individualismo estremo che si concretizza nella pratica letteraria «compiacente e narcisistica che conduce l'autore a descrivere nei dettagli le sue più piccole emozioni, le sue più insignificanti esperienze sessuali, le sue più futili reminiscenze». Un'attitudine complementare al nichilismo: «Più il mondo è ripugnante, più il "sé" è affascinante!». Meglio non leggere
Una conclusione alla quale arriva per altre vie anche Pierre Bayard che scrive nel suo libro "Comment parler des livres que l'on a pas lus" (nella collana Paradoxe delle Editions de Minuit, 15 Euro): «L'insieme della cultura si apre a coloro che testimoniano della loro capacità (...) a tagliare i legami tra il discorso e il suo oggetto e a parlare di sé». Professore di letteratura francese all'università Paris VIII, Bayard cerca di dimostrare attraverso alcuni paradossi che parlare di un libro senza averlo letto, forse sorvolato, è in fondo un atto creativo e addirittura la cosa migliore che si possa fare se davvero si ama la letteratura. Così del bibliotecario de "L'uomo senza qualità", di Robert Musil: «Volete sapere come posso conoscere ognuno di questi libri ? (...) è perché non ne leggo nessuno!». Solo una visione d'insieme infatti, approva Bayard, permette la comprensione e quindi, non potendo leggere tutto quello che viene pubblicato, dei libri si devono leggere solamente i titoli e l'indice. Bayard cita tra gli altri, a sostegno della sua dimostrazione, Valery, Balzac e Oscar Wilde («non leggo mai un libro prima di recensirlo per non restarne influenzato»). E pensando alla scuola spiega che insegnare a parlare di libri non letti deve essere «una responsabilità particolare» per «tutti gli insegnanti», che dovrebbero «valorizzare questa pratica», «singolarmente assente dai programmi, come se non fosse mai rimesso in causa il postulato secondo il quale è necessario aver letto un libro per parlarne». Brillante davvero. TESI PARADOSSALE Fanno discutere in Francia i saggi di Pierre Bayard "Comment parler des livres que l'on a pas lus" (Paradoxe delle Editions de Minuit, 15 Euro) sull'arte di recensire un libro senza averlo letto; e "La littérature en péril" di Tzvetan Todorov (Flammarion, 12 euro) sul tramonto della letteratura, causato da una concezione dell'arte troppo compiacente e narcisistica.
(Gianluca Arrigoni: Libero, martedì 6/2/2007)