Opere di Arthur Rimbaud
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Rimbaud, la mia tenerezza
Mi limiterò, con questa recensione, al solo “Una stagione all’inferno”.
La scrittura di Rimbaud appare davvero come un miracolo, sospesa com’è fra una grazia apollinea e un fuoco che erompe e divampa dal mistero dionisiaco dei sensi. Nato in un piccolo paesino di provincia, troppo stretto, troppo asfittico per le sue ambizioni, Rimbaud troverà a Parigi una prima casa, quella del poeta Verlaine che lo ospita quando il ragazzo non ha ancora compiuto diciotto anni e che si ritroverà invischiato in una relazione tanto torbida quanto disfunzionale, stregato dagli occhi semiazzurri di un giovane che tiene nella penna la bellezza di un Dio che non conosce riposo. Da questa relazione nasceranno delle poesie, scritte a quattro mani, che riescono a rendere sublime anche quanto di più pornografico possa esistere, ma soprattuto una contaminazione letteraria che oltrepasserà non solo la pesante eredità baudeleariana, ma anche i confini del decadentismo e del simbolismo. Sarà quando Verlaine sparerà due colpi di pistola a Rimbaud, dopo una rocambolesca fuga a Londra, che le loro strade e le loro vite cambieranno per sempre: Verlaine, rinchiuso in carcere per tentato omicidio e omosessualità e Rimbaud, in fuga per l’Europa, fino ad arrivare in Africa dove deporrà la penna per sempre e morirà perso nel commercio degli schiavi.
La premessa biografica è indispensabile per capire la forza lucida e lacerante della scrittura di Rimbaud: non dimentichiamo che tutto quello che ha scritto, lo ha fatto tra i 18 e i 20 anni, dopo più nulla. “Una stagione all’inferno” è il frutto più compiuto, esasperato, doloroso, annientante di una sofferenza direi ontologica. L’abiezione, il disordine dei sensi, l’alterazione del proprio stato mentale con ogni droga possibile non è per Rimbaud fine ornamento edonistico, no, piuttosto è il tentativo di accedere a quel fondo inespresso del reale, alla pura consistenza delle cose che, nella loro pura datità, finiscono per essere trasparenti. Ma soprattuto Rimbaud vive con dolore l’assenza di Dio: l’inferno di cui parla è la terra degli dei fuggiti, la stagione della povertà estrema, quella in cui il peso di un destino soverchiante, metallico, minaccia di stritolare l’uomo. E allora, come è per Nietzsche, è l’uomo a doversi fare creatore, volontà di potenza, a dover mordere e rompere il ciclo dell’infinito. Eppure Rimbaud è troppo fragile per arrivare all’oltreuomo, in lui l’unica resistenza possibile è la carità, il pianto di chi non può aiutare barboni e prostitute, la cristica percezione della propria sconfortante, ineludibile, piccolezza. E allora questo ragazzo, che davvero ha posto lo sguardo su pensieri troppo complicati per i suoi anni, che prima di tutti conosce il laccio strangolatore dell’essere-che-ciecamente-accade, non può che tentare, con la sua lingua che è puro ritmo, di portare una scintilla di fuoco nel buio del mondo. Ma quale prezzo ha pagato, redivivo Prometeo, per tanta luminosa prescienza.
Quello che più ho amato di questo libro è tutto il silenzio che sta oltre le parole, l’infinita empatia che ho provato per Rimbaud e l’incommensurabile tenerezza che me lo rende tremendamente caro. Quaranta pagine che potreste leggere per capire la titanica, infantile e meravigliosa arroganza di voler stringere tutta la verità del mondo in un solo corpo e in una sola anima. E, curiosamente, una ricerca vicinissima a quella di una scrittrice come Clarice Lispector che, per una curiosa coincidenza letteraria, ho letto da poco.
Indicazioni utili
Clarice Lispector, Acqua Viva o Vicino al cuore selvaggio
Verlaine, Poesie
Baudelaire, I fiori del male
Saint Rimbaud
Su Rimbaud si è detto di tutto: dissacratore, maledetto, angioletto, fascista e bolscevico. La mitografia iniziò sul letto di morte, dalla distorsione memoriale del cerchio familiare del poeta (la sorellina Isabelle e il cognato postumo Dufour/Berrichon, la “mother” Vitalie Cuif e l'amico di lunga data Delahaye); poi ci si è messo il mistico selvaggio Claudel, il timido Rivière e il suo compagno di sventura (che fece però la sua fortuna) Paul Verlaine. In seguito a Rimbaud ci arrivò anche la letteratura di sinistra, fra cui Breton, e al mito cattolico se ne aggiunsero infiniti altri. Poi arrivò Etiemble e le sue frecciatine rimisero un po' le cose a posto: “per capire Rimbaud bisogna iniziare a leggerlo (magari)”. Le opere: abbiamo una primissima raccolta poetica Poésies, che arriva più o meno all'incontro con Verlaine (sottolineo la lettura di Mémoires, di Voyelles, di Les Strennes des Orphelins e non solo Le Bateaux Ivre, che fu solo un esercizio parnassiano). Poi abbiamo prose: Une Saison à l'Enfer e Illuminations. Ma per capirci davvero qualcosa della poetica rimbaldiana rimando a due lettere della corrispondenza (che, a mio parere, è migliore dell'opera): al professor Izambard (13 maggio 1871) e a Demeny (15 maggio 1971). Consiglio: non fatevi influenzare dal mito del poeta maledetto, leggete Rimbaud spassionatamente.