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Pacific palisades Pacific palisades

Pacific palisades

Letteratura italiana

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L'idea è tanto semplice quanto forte: esiste uno scambio di amore e di dolore tra noi e il mondo, tra noi e gli altri, e questo scambio avviene attraverso il muro che ognuno di noi è. Un baluardo che è anche una valvola, un filtro: una palizzata pacifica. Dario Voltolini – una delle penne più originali e fieramente isolate della letteratura italiana – ha scelto la forma del racconto in versi per compiere insieme a chi legge un viaggio intimo e universale nel tempo e tra le parole. «Con l'onda arriva tutto e ciò che la muove o è un trauma o è un amore (vai a distinguere tra le tante cose)». Convocando sulla pagina le persone a lui più care e le loro storie, Voltolini ha immaginato un dialogo tra i vivi e coloro che non lo sono più, facendo emergere una prospettiva nuova: ognuno di noi custodisce dentro di sé, insieme al proprio passato, anche – forse soprattutto – quello di chi ci ha preceduto. Da questo testo, Romaeuropa Festival porterà nei teatri un reading con le musiche di Nicola Tescari diretto e interpretato da Alessandro Baricco. «L'onda scende lungo gli anni e passa dentro le persone. Nelle vene del tempo soffiano come un vento il dolore l'orrore l'amore, la generazione delle generazioni e viene da chiedersi se sia lo stesso vento, o un diverso stile di movimento, a far sí che nell'immaginazione veniamo portati in alto in orbite da cui guardare sotto».



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Pacific palisades 2018-02-26 17:42:11 ornella donna
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ornella donna Opinione inserita da ornella donna    26 Febbraio, 2018
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La palizzata pacifica

Il nuovo libro di Dario Voltolini, Pacific Palisades, narra di una vita attraverso la mappa di una città:

“Dentro ciascuno di noi c’è un territorio/ non sappiamo quanto segreto/ma è simile ad un midollo/appare dopo l’ultima difesa dura dell’osso”.

Sarà questo territorio ad essere considerato dall’autore “la palizzata pacifica”, che sta dentro di noi. Infatti Voltolini rintraccia la propria storia familiare sulla mappa di Torino (quartieri, ponti, locali) seguendo i passi di genitori e parenti, vivi o morti, filosofeggiando sulle loro vite e ricostruendo le loro morti in una serie di incontri. Alcuni di questi avvengono in posti precisamente geografici,

“in un ristorante di pesce/ sul 45°parallelo Nord/ del nostro pianeta”

Ed in altri luoghi universalmente riconoscibili, quali fabbriche industriali, crocevia urbani, paesini al mare, bar. Una delle protagoniste narrate da Voltolini, “la donna che va nei bar”, che è la zia dello scrittore girovagava per una città che può essere sì Torino, ma anche un’altra metropoli. Il lettore la segue curioso per strade e viali,incantato dal suo percorso, incuriosito dal suo spostarsi da bar in bar, dalla sua andatura scandita dai colori dei semafori, dai marciapiedi, dalle facciate dei palazzi, dalla luce che si trasforma mano a mano che la donna prosegue nel suo cammino. Spazio urbano e corpo umano si coniugano nel proseguo del testo, ma anche nella ricostruzione del passato. All’interno della storia della donna che va nei bar, c’è insito la storia della zia stessa, sorella del padre di Voltolini, e della tragica morte originaria dei vagabondaggi. La sua via per la città apre la strada a uno sguardo dentro un paesaggio che è interno, psichico. Vi è, infatti, nel testo una sorta di ricostruzione dell’album di famiglia, che diventa mappa dei territori che sono dentro ognuno di noi, di luoghi e paesaggi invisibili, di ciò che Voltolini definisce come

“il territorio dove continuamente si nasce”,

“non tanto un confine quanto un parapetto, una ringhiera fragile”.

E’ questo concetto di parapetto dentro di noi, una palizzata che resiste a prescindere, che è il fulcro del libro. E nel narrare appunto di pareti e parapetti – le scene traumatiche del passato- che l’autore li muta in esperienze affettive, generative che non si può non apprezzare in tutto il suo sapere in toto.

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