Poesia Poesia italiana Occhi di zagara
 

Occhi di zagara Occhi di zagara

Occhi di zagara

Letteratura italiana

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"Le zagare non hanno bisogno di molte cure per fiorire e profumare e vivere; anche in funzione di questo, il titolo della raccolta risponde perfettamente alla formazione culturale, emozionale ed etica di Paola Sarcià. La rosa del deserto si adatterebbe a diventare il simbolo di questa silloge; il tempo infatti si svolge impietoso sopra le cose, le appesantisce e le logora, qualche volta però addensa nei secoli piccoli cristalli che offrono alla caducità una statuaria forma di rosa. [...] Il valore del testo consiste nel nascere e vivere senza orpelli, senza inizi, senza fine, senza parole inutili o eccesso aggettivale, si staglia conciso nella sintesi di un lampo prima del temporale e lascia in chi legge la nudità della vita e del dolore..." (dall'introduzione di Patrizia Garofalo).



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Occhi di zagara 2008-05-24 19:25:23 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    24 Mag, 2008
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Il potere salvifico della poesia

Il poeta traduce in versi le sue emozioni, siano esse liete oppure tristi, ma il percorso che più esalta questa ricerca in se stessi è di frequente motivato dalla sofferenza, un dolore spesso muto, che non traspare, ma che alligna nell’animo, corrosivo, a volte quiescente, ma sempre pronto a colpire. E allora, quando più si avverte, è indispensabile lenirlo con uno sfogo che fa nascere versi spesso struggenti, per quanto temperati da un naturale pudore.

In Paola Sarcià, in questa sua opera prima Occhi di zagara, il dolore si fa verbo, si fa parola, fluisce dall’animo fino al foglio, che imprime e scava, una sorta di specchio liberatorio in cui confrontarsi, svelenire l’animo, mantenere traccia di una sofferenza che va, viene, scompare, ma che tenderebbe sempre a ritornare se non fosse intervenuto il potere salvifico della poesia, un’ancora di salvezza in cui farlo confluire.



Sono rimasta

aggrappata

con unghie

insanguinate

allo scoglio

di un amore.



Oppure



Ho gridato

contro

un cielo

di stelle svanite

contro

una luna

sparsa su una pelle

di dolore.

Ho pianto

su una sedia

al centro

di una stanza

le gambe

rannicchiate

il volto

stuprato

dalle tue menzogne



C’è un motivo di fondo che si ripete, un senso di sfiducia, accompagnato da un intenso desiderio d’amore, un’insoddisfazione con radici antiche che reclama di essere placata.

Tuttavia non manca la possibilità di un rifugio nel sogno, un’astrazione della mente che serve a stemperare, se non a far cessare il dolore.



Densa

cala la notte

involucro

scuro

sulla pelle

oltre le nubi

danzo

tra le stelle



Infatti il poeta ha la possibilità di evadere la realtà con un’irrealtà che costituisce però solo l’uscita di emergenza da una situazione di disagio interiore quando la stessa diventa insostenibile.



Ma tutto è inutile, quando domina l’indifferenza, quando siamo solo ombre in una moltitudine di gente inconsapevole della propria esistenza.



Silenzi

di solitudini

di anime

ad un crocevia

vicine

distanti

nel loro immenso

vuoto



Come dice giustamente Patrizia Garofalo nella sua bella prefazione, la poetessa marchia a fuoco se stessa senza pietà, in una sorta di accettazione del proprio stato, senza odio, senza timore, una condizione indispensabile per continuare.

Quanto ho scritto lascerebbe presupporre una difficoltà di lettura, dovuta alla naturale ritrosia di ognuno di noi ad accettare la sofferenza degli altri, ma non è così, perché quello che per l’autore è dolore per noi che leggiamo diventa malinconia, grazie a quel pudore che ha stemperato lo sfogo espresso in versi.

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Dare voce al silenzio, di Patrizia Garofalo
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