L'arte di amare
Letteratura italiana
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La saggezza degli antichi
Piacevole da leggere e sorprendente sotto vari aspetti, “L’arte d’amare” di Publio Ovidio Nasone è un’opera poetica che si distingue subito per contenuto ed eleganza stilistica, considerando la metrica utilizzata (intreccio di esametri e pentametri) e i copiosi e sempre affascinanti richiami al mito.
È un poema che invita all’amore libero, c’è poco da girarci intorno. Un vademecum per libertini, di libero stato civile o già uniti in matrimonio che siano, uomini anzitutto ma anche donne dal momento che l’ultima parte dell’opera si rivolge direttamente ed inequivocabilmente alle “tenere fanciulle”.
Come tutte le arti, anche quella di amare va appresa, studiata e applicata; Ovidio stesso si erge al ruolo di “magister” con la benedizione - dice lui - delle divinità a cui, pur essendo tali, non sono certo ignoti i piaceri dell’eros.
Gli oltre duemila versi del poema sono suddivisi in tre libri; eccone i contenuti:
- Libro primo: destinato agli uomini, esso illustra dove e come rimorchiare. “…non c’è donna al mondo che non possa divenire la tua: e tu l’avrai, purché tu sappia tendere i tuoi lacci”. Siccome la manna non scende dal cielo, ci si deve pur dare una mossa e fare qualche fatica per andare a cercarla, specie nei posti giusti: quelli pubblici principalmente, come portici, templi, teatri e dove si svolgono le corse dei cavalli, senza trascurare mense e banchetti presumibilmente presso case private. Una volta individuata la donna, attirarla con la giusta parlantina che però non l’annoi, con lusinghe, con la pazienza e, naturalmente, con promesse, promesse, promesse… “Prometti molto: le promesse attraggono a sé le donne”. E non ci si scordi di spergiurare, invocando come testimoni i sommi dei ché pure Giove, adultero incallito, è solito giurare il falso alla divina consorte. Non tralasciare poi di piacere al marito della donna in questione né d’ingraziarsi la sua ancella (e valutare bene se valga la pena di togliersi qualche voglia pure con quest’ultima, ma, nel caso, sempre dopo aver concluso prima con la padrona). Se si vuole fare colpo, meglio curare igiene e aspetto personali, senza però rischiare di apparire troppo effeminati come coloro che, tra gli uomini, si arricciano col ferro i capelli o si depilano le gambe. Ultimo sincero consiglio: in amore guardarsi da amici e parentame vario poiché, a quanto pare, in molti si candidano a soppiantare chi troppo loda la propria amante.
- Libro secondo: destinato anch’esso a un pubblico maschile di lettori come il precedente, erudisce nell’ardua impresa di conservare a lungo la conquista, giacché “il mantenerla è frutto d’arte fina”. Non perder tempo con magie e filtri d’amore, ma “sii amabile, se vuoi essere amato”. Aggiungere “doti d’ingegno” alla bellezza che da sola poco può fare, vista la sua caducità. Evitare i litigi, abbondando in dolcezza (soprattutto chi non può fare doni materiali); magari comporre per lei “teneri versi”, ché, a quanto pare, con la cultura qualcosa si rimedia sempre. Non risparmiarsi nemmeno in lodi e adulazioni, così come non domandare mai l’età ed evitare lo scandalo. Ma, in particolare, “fai solo e sempre tutto ciò che vuole” e sopportare tutto, ingiurie, percosse… persino le temute corna!
- Libro terzo: forse un tentativo da parte dell’autore di accattivarsi anche le simpatie del pubblico femminile, dal momento che questa parte che chiude la sua “Ars amatoria” è a uso e consumo delle donne. Non fosse mai che queste, nella nobile arte, non potessero vantare un maestro pari a quello degli uomini. “Godetevi la vita” e “cogliete il fiore”, esorta loro Ovidio ché non è mistero quant’è bella giovinezza. Tutto sommato, i consigli non sono dissimili da quelli dispensati ai colleghi maschi: curare la pulizia e l’aspetto personali, trucco e parrucco; ma - attenzione! - mantenere segreta l’arte con la quale ci si rende belle, fatta com’è di pratiche e intrugli mica tanto belli da vedersi. Per accalappiare un uomo è buona norma imparare a cantare, suonare la cetra, danzare e - perché no? - conoscere i poeti greci e latini: su come la cultura possa rivelarsi utile in certe circostanze già si è disquisito. Mostrarsi socievoli, al bando l’ira e la superbia, così pure la gelosia. Ogni tanto tenere la porta chiusa all’amante e imparare alla svelta a eludere la sorveglianza del marito, tanti trucchetti esistono apposta. Infine, all’occorrenza, fingere di raggiungere il piacere nell’amplesso.
Qualsiasi commento sembra superfluo. Del resto, si sa, la saggezza degli antichi è indiscutibile!
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Insegnare l'amore
L’Ars Amatoria è generalmente considerata uno dei vertici della produzione di Ovidio, come dimostrato dall’ingente fortuna successiva del testo. Si tratta di un poemetto didascalico sui generis articolato in 3 libri.
La caratteristica principale dell’opera è la distorsione del genere che l’autore attua. Pur inserendosi nella tradizione della poesia didascalica, infatti, Ovidio marca la sua originalità nel rapporto che instaura col genere letterario. Già il titolo è indicativo: Ars Amatoria è infatti un’espressione concettualmente ossimorica, dal momento che si vuole insegnare una doctrina per un sentimento, quale la passione amorosa, che di per sé sfugge ad ogni controllo e ad ogni regola. La materia di questo pseudo-poema didascalico induce poi Ovidio ad utilizzare non l’esametro epico, ma il distico elegiaco tipico della poesia d’amore. Questi elementi, unitamente al linguaggio tipico del trattato scientifico, contribuiscono a generare l’ironia ovidiana, che mette in diretta comunicazione l’autore coi suoi lettori.
I primi due libri sono dedicati ai ragazzi, che il poeta istruisce su dove trovare le donne, come approcciarsi a loro per sedurle, come conquistarle e come tenerle poi saldamente legate a sé. Il terzo libro è invece dedicato alle donne, cui si forniscono consigli di seduzione, di bellezza, di conquista e asservimento degli uomini. Al termine del secondo e del terzo libro l’autore pone un suo sigillo autoriale.
Ovidio si pone dunque come praeceptor amoris, proponendosi di insegnare l’amore ai suoi lettori e non mancando comunque di sottolineare la difficoltà della sua missione, dal momento che le tecniche di corteggiamento variano da persona a eprsona. Tuttavia, a differenza dei poeti elegiaci che lo avevano preceduto in questo ruolo (Tibullo, Properzio), egli scinde la sua esperienza d’amante da quella di insegnante, cosicché il patrimonio elegiaco viene dal poeta ereditato e rielaborato nell’ambito delle strategie seduttive. I principali metodi di seduzione e conquista proposti sono l’inganno e la simulazione/dissimulazione. Essi sono infatti le armi più efficaci che gli amanti hanno a disposizione e che si concretizzano in doni e trucchi, finte blandizie e lacrime, false scenate di gelosia e tradimenti accettati, da una parte e dall’altra. In questo modo, quasi in una parodia dei topoi elegiaci, ha luogo l’amore, in cui ogni aspetto prettamente sentimentale è assente a favore della ricerca del piacere sessuale. L’amore è presentato quindi come un "lusus", un gioco piacevole e gradito ed è descritto in una dimensione mondana e pubblica; ciò rende l’opera una splendida testimonianza della vita degli ambienti galanti della Roma augustea, rappresentata in uno stile di grande eleganza e, peraltro, arricchito dall’ingente patrimonio mitico, che interviene di frequente a esemplificare gli insegnamenti e a spezzare la monotonia di un’enumerazione di precetti.
L’opera è dunque con tutta evidenza una delle migliori testimonianze dell’abilità e della consapevolezza artistica di Ovidio, che tuttavia non fece adeguatamente i conti con i rischi socio-culturali che essa comportava. L’Ars amatoria, infatti, contrastava ampiamente con il programma di restaurazione morale all’insegna dei prisci mores proposto da Augusto, in particolare nella sezione riguardante le donne. Di questo il poeta doveva con tutta probabilità esser consapevole, come dimostra il fatto che più volte nell’opera egli dichiari apertamente di rivolgersi alle donne libere, dunque le schiave e le liberte, e non alle matrone romane, madri di famiglia e maritate a uomini insigni. Tuttavia ciò non bastò e fu questo il "carmen" che, unitamente all’"error" (probabilmente il coinvolgimento di Ovidio in uno scandalo erotico di corte con al centro Giulia, figlia di Augusto), procurò al poeta l’ingiunzione di esilio nella barbara Tomi, dove egli concluse la sua vita nel rimpianto della mondanità romana da lui tanto amata.