Immagine convessa
Letteratura italiana
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Quando il silenzio è più forte di un grido
La poesia sa essere immagine, o acuto grido di dolore, e anche tanto altro, perché nei versi si può ritrovare l’anima dell’autore. In genere ogni poeta ha una tematica preferenziale, più volte sviluppata, scavata e ricercata; meno facile che in uno stesso artista si ritrovino argomenti diversi e che questi riesca a fonderli in un equilibrio sostanziale che dona integrità alla lirica, capace di proporsi come autentico specchio delle innumerevoli sfaccettature dell’anima. É questo il caso di Immagine convessa, una raccolta di Vincenzo D’Alessio dedicata al figlio Antonio, scomparso troppo presto e innaturalmente prima dei genitori. Sì, innaturalmente è il termine più adatto, perché se la scomparsa di un proprio caro è sempre dolorosa, qualora questi sia molto più giovane di chi resta appare talmente contro ogni logica che al dolore si aggiunge l’angoscia. Non vorrei, però, che chi legge queste mie righe dovesse pensare che si troverà di fronte a una serie di lamenti continuati, perché non è così, perché il dolore è prima di tutto una lacerazione individuale e interna. Il dolore, per essere tale, non deve essere gridato, si deve convivere con lo stesso, giorno dopo giorno, in un silenzio che di per se stesso è un urlo. Eppure, il figlio ogni tanto ritorna, in versi sommessi (Dio del vento / riportami la voce / di mio figlio / ora tuo figlio / per un attimo di eterno.). E se lì il riapparire nel ricordo è esplicito, meno evidente, ma ancor più presente, è la presenza del figlio nei versi dedicati ai giovani del sud , giovani come quello perduto. Pur tuttavia,
nella presenza saltuaria di una tendenza naturalistica, non manca e anzi è preminente un grande senso civico, una ferma volontà di affermare un’idea di umanità lontana dal materialismo, ma fatta di giustizia e di sostanza. (Solofra terra d’inganni / rubi l’innocenza ai poveri / senza ascoltarne il pianto / distruggi la memoria / con il facile guadagno. /…). E in questo quadro, nel solco di un altro poeta che l’ha preceduto, quel Rocco Scotellaro, che ha saputo vedere la sua terra con il cuore e con la mente, prorompono vitali, quasi anatemi, ma senza violenza, i versi dedicati a un meridione sempre più senza speranza (Non dormiamo sottoterra / l’anima fugge le distanze / il vento accompagna il fischio / dell’uomo dentro le montagne,. / Sud di miseria e tradimenti / strada ferrata senza più ritorni / dove veglia il cuore? / è nuova l’alba, è nuova!).
Se ciò non bastasse, troviamo pure il solco del ricordo che si rincorre, si apre, si chiude, si riapre, ma la memoria non è mai fine a se stessa, è un pozzo a cui attingere per lasciarsi andare a un dolce rimpianto.
Quindi, si tratta di una silloge che presenta una grande ricchezza di varietà tematiche e che probabilmente è il compendio di un lungo lavoro, con poesie più lunghe e più brevi, e fra queste ultime ce n’è una di soli quattro versi che, forse a causa della mia non più verde età, mi si è fissata bene nella mente e nel cuore: Ride il vecchio nello specchio / ha divorato la giovinezza / avidi occhi puntati ai fogli / dell’ultimo quaderno.
Non aggiungo altro, se non la mia calda raccomandazione a leggere questa bellissima raccolta.