Poesia Poesia italiana Il fiume di Eraclito
 

Il fiume di Eraclito Il fiume di Eraclito

Il fiume di Eraclito

Letteratura italiana

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Il fil rouge delle liriche che compongono la raccolta è il Weltshmertz (il soffrire universale) già cantato dai romantici: senza patetismo ma con intensa commozione. Esso trae origine dalla consapevolezza del mistero che ci circonda, ma anche dall'impotenza di squarciare il velo della non-conoscenza. Da tale buio proviene l'angoscia esistenziale, schiacciata dalla volontà di indagare, di risolvere razionalmente gli interrogativi che ci opprimono. La risposta da taluni è ritenuta impossibile, altre volte una falsa soluzione è prospettata dal possesso dei beni terreni, mezzi per godersi la vita, eludendo il fine ultimo. E il tempo impietoso trascina i suoi passi e non concede tregua. (dalla prefazione dell'autrice)



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Il fiume di Eraclito 2015-06-21 06:41:32 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    21 Giugno, 2015
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L’amaro destino dell’uomo

L’uomo non nasce mai solo, ma con il concorso della madre; muore sempre, invece, solo, solo anche se attorniato dagli affetti più cari, perché la dipartita non può essere che un evento del tutto personale. Se nei primi anni di vita non ha la consapevolezza del suo destino e ha fretta di crescere, di procedere nel tempo, con il trascorrere degli anni ogni tanto gli appare il ricordo di quella spada di Damocle che pende sul suo capo dal momento in cui è stato generato e quando l’età, con i primi acciacchi, manifesta tutto il suo declino, è più facile che sopravvenga il timore della morte, che i tanti segni, soprattutto fisici, danno in avvicinamento. E allora tanto più avvertiamo la miseria di un’esistenza in cui più sono i misteri delle conoscenze, durante la quale non c’è mai spazio per una concreta prospettiva futura. È in quel momento, nella presa di coscienza del nostro effimero tempo, che vorremmo una risposta a tante domande, ma soprattutto a quella: perché la vita ha un termine e come sarà il dopo? Ovvio che non sempre avremo delle risposte, soprattutto per questo quesito fondamentale, ma è anche vero che è l’occasione per interrogarci, per trasporre magari in versi la nostra intima inquietudine, proprio come ha fatto Adriana Pedicini con questa silloge intitolata Il fiume di Eraclito, uscita di recente, ma, ahimè, non in cartaceo, ma come e-book. Dico ahimé poiché credo che il profumo della carta, lo scorrere dei fogli siano un elemento insostituibile e che costituiscano non tanto un corollario, ma la giusta base di partenza per leggere e gustare un’opera. Comunque, trattandosi di una silloge, composta da un certo numero di poesie, la lettura risulta meno disagevole visto che é indubbiamente meno faticosa di quella di un romanzo in formato elettronico.
Già il titolo mi ha incuriosito e allora ho pescato nella memoria, cercando di focalizzare l’opera di questo filosofo presocratico, per sua natura piuttosto criptico e mi è venuta in mente la correlazione fra il suo pensiero e il fiume. In buona sostanza, e questo lo sappiamo tramite Platone, Eraclito avrebbe detto:”
che tutto si muove e nulla sta fermo" e poi confrontando gli esseri alla corrente di un fiume, avrebbe aggiunto che "non potresti entrare due volte nello stesso fiume" Che cosa significa? L’uomo non può fare la stessa esperienza due volte, poiché ogni entità, nella sua fittizia dimensione reale, è soggetta alla legge inderogabile del continuo mutamento. E pertanto non c’è alternativa alla morte e non è possibile che un essere vivente, venuto a mancare, abbia l’opportunità di morire ancora, perché ciò presupporrebbe una rinascita che per esperienza millenaria non si è mai verificata.
Credo, pertanto, che il titolo sia abbastanza esaustivo dello spirito che ha animato le poesie della silloge, ma se la vita in queste condizioni può essere un’astratta e anche a volte reale sofferenza, proprio perché essa è una sola e irripetibile si deve viverla, cogliere le infinte occasioni e opportunità che può dare, al fine, in ciò parafrasando questa volta i versi di una mia poesia, di poter dire al termine che ogni minuto è stato degno di essere vissuto. Ma ciò non significa gioia di esistere, bensì di accettare consapevolmente il dolore di esistere, che può essere anche uno sprone per addentrarsi nel terreno nebuloso, ma gratificante della metafisica, cercando oltre il sipario dell’ignoto. Sì, la morte si sconta vivendo, diceva Sciascia, ma è anche vero che è un prezzo che tutti sono disposti a pagare.
Le liriche, raccolte, permeate dello stile intimistico di cui ci ha abituato la Pedicini, pur nelle variegate espressioni, riflettono questa sofferenza interiore, che pur tuttavia, stemperata dalla ricerca di conoscenza, si tramutano in note di carezzevole malinconia. Ed è proprio questa capacità di smussare, di filtrare solitudini e ancestrali angosce, che consentono di comprendere e godere i versi che in pacato ritmo, quasi un adagio, scorrono, come il fiume di Eraclito, davanti ai nostri occhi.
Da leggere, mi sembra ovvio.

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