Fiori e fulmini
Letteratura italiana
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Più fiori che fulmini
Il poeta riesce a guardare il mondo che lo circonda, trascendendo ciò che gli occhi vedono, e in questo Cristina Bove non si smentisce, perché in lei è presente questa straordinaria virtù ed è coeva con la capacità di trasmettere in modo chiaro, direi limpido, le sensazioni del suo animo.
Questa raccolta comprende un centinaio di poesie, solo una parte delle numerose che nel corso della sua vita ha saputo creare, senza mai essere ripetitiva.
In “Fiori e fulmini”, pur nelle molteplici tematiche affrontate, riluce la mano sensibile che riesce a trasferire nel verso, con ammirevole semplicità, le più svariate emozioni, dal tormento di un ricordo allo sdegno per la sorte riservata ai più deboli.
L’animo di Cristina è uno specchio in cui si riflettono visioni che rimbalzano sulla carta pregne di intime considerazioni, una presa di coscienza che solo il confronto fra la realtà e il sentimento trasfigura in messaggi, ora soffusi, spesso silenziosi, e quasi mai in urla liberatorie.
C’è una visione dell’esistenza, anche nei suoi aspetti più tragici, che lascia alla speranza dell’amore, inteso nella sua accezione più ampia, quel dare spontaneo che gratifica anche senza risposta e che fa sentire più vivi, come in Amo le voci “ Amo le voci che parlano sommesse che sanno dire senza farti male che scelgono il silenzio quando è bene tacere “, oppure in Brulicava di luci , una lirica di ispirazione quasi bucolica, dove il richiamo alla morte va a sottolineare l’amore per la vita, una sorta di antitesi che ne esalta il valore.
Ci sono liriche intimiste, dove il volgere gli occhi dentro di sé è il cercare di conoscere la risposta a tanti perché e al riguardo ritengo opportuno sottolineare il particolare spirito religioso presente in tanti versi, una visione della vita che esula dai dogmi delle religioni per sfociare nella dubbiosa consapevolezza che qualche entità a noi ignota presieda ai destini del mondo, ai passi che percorriamo ogni giorno, a fatti ed eventi a cui partecipiamo secondo un copione che non conosciamo, ma che qualcuno ha ben definito.
Domande logiche che tutti ci poniamo, ma che la sensibilità dell’autore sa volgere in possibili risposte che alla luce della ragione hanno un senso senza essere certe, perché l’unica realtà tangibile è la vita, è quel fluire del tempo che ci accompagna dalla nascita fino al distacco, un distacco che può anche essere mediato, come quando qualcuno a noi caro ci lascia senza che possiamo far nulla, un’improvvisa consapevolezza della nostra impotenza di uomini che crediamo di saper tutto, ma che ignoriamo il perché esistiamo.
Al riguardo struggente è A mia madre, laddove Cristina scrive “ Mentre la vita che donasti a me non consentiva di donarla a te “, una traslazione di pensiero che porta dal pathos individuale a quello universale, una drammatica consapevolezza che il ciclo vitale non può essere modificato.
Più fiori che fulmini, perché anche nell’uso sapiente e mai ridondante delle metafore il verso, fluido, cristallino è al servizio della filosofia dell’autore, un concetto semplice, ma dalla grande portata per il bene del mondo: la vita è una sola, con aspetti negativi e altri positivi, ma merita in ogni caso di essere condotta fino in fondo, di amarla con tutte le proprie forze, il che non è un atto di egoismo, poiché ciò a cui si deve effettivamente aspirare sono gli autentici valori a fondamento di ogni civiltà, perché in essa innati e che l’umanità si è portata appresso nei secoli, ogni tanto dimenticandosene, nella rincorsa vana di feticci della felicità.
Un’ultima, doverosa annotazione: leggere le poesie di Cristina Bove è come entrare in un’altra dimensione, in un’atmosfera dolcemente sospesa che infonde una grande serenità.