Dall'Adige all'Isonzo. Poeti a Nord-Est
Letteratura italiana
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Poesia e territorialità
Credo che un poeta possa essere considerato un testimone del suo tempo e che pertanto ciò che scrive sia un riflesso mediato del mondo che lo circonda. Se in un’epoca come la nostra, dominata dalla globalizzazione, che in effetti si estrinseca in un’omologazione, verifichiamo in narrativa sovente una tematica comune e anche uno stile espressivo analogo, la stessa cosa non si può dire per la poesia, perché l’autore è un artefice di se stesso, è un essere umano la cui sensibilità, sempre individuale, non ama ricondursi a un denominatore identico, a una visione dell’esterno generalmente classificata, ma la sua naturale introversione si esplicita in forme che esulano da una linea precostituita. Eppure, in questo contesto, è possibile rilevare elementi propri di una territorialità, di un comune sentire che, ancorché geografico, è frutto di tradizioni, di culture che resistono in una loro indiscutibile autonomia.
Non è un caso quindi se Alessando Ramberti, curatore di questa antologia, ha pensato di riunire le voci poetiche di autori del Nord-Est, di quella linea ideale che nasce con il fiume Adige, passa il Piave e il Tagliamento, e si chiude sullo storico Isonzo.
Non si tratta di padri della poesia, anche se più d’uno potrebbe forse diventarlo, ma ciò non impedisce a questi autori di essere poeti, cioè cantori, espressione di una trasposizione metafisica della realtà e dei fatti del mondo, tutti accomunati appunto da medesime radici che il traboccante progresso non riesce a spezzare. Questo legame indissolubile con la propria terra, con culture che si tramandano ben oltre quella che è la possibilità di acquisizione cognitiva, ma che rientrano nel patrimonio genetico, in cui l’antico riesce a convivere con il nuovo, mi ricordano un po’ un mondo lontano, quel Giappone di Samurai e di alta tecnologia.
I prescelti sono in tutto dieci:
Paolo Campoccia (Memento – Ricorda io sono qualcuno che resta; / chi dal tuo nome è tolto, nel tuo pianto / resta. Uno che vede chi vede il vento / uno che viene e paga di tutti il tempo.), romano di nascita e veneto d’adozione.
Roberto Cogo (da Risata rincorre l’alba – si continua a pensare sempre / di arrivare in qualunque luogo / da qualche parte seppellendo i ricordi / per non essere troppo o niente / …), vicentino di Schio.
Alessandra Conte ( da Abbraccio – allacciati i corpi con le bocche, le mani e i sessi / schiantati i corpi a cucchiaio senza deriva /…), pure lei vicentina.
Erika Crosara (da La signorina Vincenza – che cosa facesse, di mattina i rimasugli, il recupero / degli ordigni, rinnovamenti che disponeva sul candido / letto prima dei pranzi, quando veniva l’ora giusta per /….), un’altra vicentina.
Giovanni Fierro (da Sottofiume – Il silenzio del fiume è sott’acqua / la sua corrente è calligrafia / costruisce parole / le si possono leggere / nel segno continuo / che il suo scorrere lascia / nella terra scavata…), goriziano.
Fabio Franzin, che scrive in dialetto, ma di cui riporto la versione in italiano (da Stradine, sentieri – Questa striscia scura d’asfalto /( che so essere stata di sassi, / un tempo, e più stretta), strada /, che taglia oltre i caseggiati, il paese, che va, diritta, verso la lontana / sagoma lilla dei monti…), milanese di nascita, ma trevigiano d’adozione. Mi permetto di spendere due parole su questo autore che fa uso del dialetto, generalmente relegato a testi poetici didascalici oppure satirici, ma che nel caso specifico è l’espressione autentica di quella territorialità, geografica e di costume, di cui prima accennavo.
Stefano Guglielmin (da Sponsor River – qui giace crodino la collina dei crodini / e quella trottola di sua musa / che scavallò sulla fibra l’onda e il meglio / dei sapori /…), vicentino di Schio.
Simone Lago (da Dopolavoro – Ci accoglie il paradosso come un lampo / non appena attraversiamo la penombra / che avvolge le quinte di questa città. /…), padovano.
Francesco Tomada (da Altrove – Siedo sul muro basso di fianco alla via / sarà che questa bottiglia di vino è quasi finita / ma la salita mi sembra più salita / le pietre più dure / e proprio adesso vorrei dire che mi manchi /…), goriziano.
Giovanni Turra Zan (da Consolation – Giusto al fondo del gioco / stava quel lembo di camicia / che si odiava dover stirare per tema / di svellerne le pieghe, di farne / al calore sanguinare le crepe. /…), vicentino.
Di ognuno di questi autori è riportata una silloge e comunque un congruo numero di poesie che rendono possibile comprenderne le peculiarità, nonché in calce alla stessa un commento critico, talvolta di poeti presenti nello stesso volume.
Mi corre altresì l’obbligo di evidenziare le interessanti prefazioni di Chiara De Luca e Massimo Sannelli che riescono a fornire un quadro generale dell’opera facilitandone non poco in questo modo la lettura, che potrà risultare, in dipendenza dell’autore, più o meno gradevole, restando però sempre in ogni caso senz’altro consigliabile.