Colombe raggomitolate
Letteratura italiana
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La docile forza
Leggere le poesie di questa raccolta, composta da tre piccole sillogi (Il canto dell’amore, La donna, Versi migranti) è scoprire un mondo tutto nuovo, fatto di luci, di colori, di immagini che non rientrano nell’abituale stesura dei versi dell’occidente.
In Ghonim vi è tutta una linea di confine indeterminata fra la realtà e il sogno, così che si ritrae l’impressione di una dimensione sospesa, al di fuori della portata dell’uomo moderno che, pur cercando di astrarsi, finisce sempre con l’essere condizionato dalla quotidianità.
Nell’autore di origini egiziane invece si ritrova quella grazia delicata, soffusa, propria della poesia araba, in una condizione tale che le emozioni, le sensazioni hanno una proiezione celestiale.
Da La notte oscura
….
E’ forse diverso il sangue dell’umanità sotto la pelle?
Sono diversi i sogni,
speri che i tuoi giorni diventino senza notte?
Guardami bene in faccia,
guarda questa faccia scura:
ti accorgerai che sono io la tua notte.
….
Ghonim, nel nostro paese da diversi anni, ne ha acquisito la cittadinanza, però ciò è avvenuto senza perdere la sua innata personalità, modellata sulle scie di tradizioni e di visioni della vita che nel tempo sembrano immobili, ma che invece sono continue sfumature di una concezione dell’esistenza che si tramanda nei secoli.
Fuori dalla vacua corsa dell’occidente, non affastellata da falsi miraggi o da richiami di sirene corruttrici, la poetica di questo autore echeggia le melodiosità delle danze nei cortili dell’Alhambra, o la limpida freschezza delle acque che scendono al piano dalla Sierra Nevada.
Forza e grazia sono fuse in un equilibrio che, più che affascinare, circondano il lettore, avvolgendolo in un alone mistico che quasi inebria, una condizione di sospensione temporale che astrae dal mondo, proiettando verso cieli sconfinati, oltre i confini della realtà.
Tutto sembra così naturale, così spontaneo che si riesce perfino a leggere oltre le parole, arrivando a scorgere l’anima da cui sono scaturite.
Da Solitudine
Sono solo
perché sento la mancanza del mio amore.
Isolato
come un cammello col petto
sopra la terra desertica.
La notte mi ha coperto
come un’onda tenebrosa.
Oppure
Le labbra
Spade indiane
si colorano
con i raggi del sole,
al chiarore della luna
bevono con bramosia
dai turchesi dell’amore
dissetandosi inebriano
le stelle del cielo
che discendono sulla terra
sfavillanti di pioggia.
Penso che, soprattutto con Le labbra, si possa comprendere quanto ho fino ad ora scritto, ci si possa immergere in queste visioni, frutto di umane emozioni, ma che riescono a sublimarsi, ascendendo verso il magico mistero dell’universo.
Ma c’è anche un altro Ghonim, che sa guardare la realtà con occhi non trasognati, che vede il dramma dei migranti, che comprende il loro desiderio di lasciare la loro terra, dove si muore di fame, per affrontare un viaggio di speranza verso l’ignoto.
E’ il suo un atteggiamento di composta partecipazione, in cui, pur nella forza dei versi, permane una vena malinconica, un sentimento di pietà verso destini dei quali noi non siamo incolpevoli.
Lettera di un bambino africano
O mio amico là,
io nudo condotto allo scoperto
affamato abbandonato alla fame,
di mosche è cosparsa la mia bocca,
sento che il latte lo rigurgitate,
che il grano sotto la neve lo lasciate
e che le vostre mamme vi cullano in lettini di seta.
Noi, qua, soffiamo polvere,
respiriamo il suo esalare,
chiediamo all’aria un senso,
formuliamo una preghiera senza risposta.
Quindi, non posso che concludere con un’osservazione: sensibilità e delicatezza, passione e meditazione si fondono in Ghonim, nei suoi versi che poco a poco ammaliano il lettore, stregato dalla docile forza con cui canta della vita.