Voci in fuga
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Ostafrika
Dopo “Sulla riva del mare” e “Paradiso”, prosegue la ripubblicazione dei romanzi di Abdulrazak Gurnah da parte della casa editrice La nave di Teseo. Ora è la volta di “Voci in fuga”, con cui ritorna in libreria nel nostro Paese il sorprendente Premio Nobel della Letteratura 2021, di nuovo tradotto da Alberto Cristofori.
Al pari dei precedenti due titoli dei mesi passati, anche quello uscito lo scorso giugno propone un’ambientazione swahili, sullo sfondo di quell’Africa orientale tanto cara all’autore non a caso originario di Zanzibar. La narrazione prende avvio intorno all’inizio del Novecento, quando l’area era in mano alla Germania imperiale che manteneva il proprio ferreo controllo sulla sua Ostafrika attraverso la spietata violenza della Schutztruppe, un vero e proprio esercito coloniale costituito da mercenari indigeni denominati askari e posto sotto il comando diretto di ufficiali tedeschi.
“[…] da quando hanno occupato questo territorio, i tedeschi hanno ucciso tanta di quella gente che il paese è costellato di teschi e di ossa e la terra è inzuppata di sangue.”
Tra i protagonisti del romanzo, Ilyas e Hamza si arruolarono volontari proprio nella Schutztruppe allorché pure nel continente nero la prima guerra mondiale reclamò i suoi assurdi teatri di morte. Dei due giovani uomini (che non si conosceranno mai in maniera diretta, ma avranno un punto di contatto in Afiya, sorella di uno e infine moglie dell’altro) soltanto Hamza tornerà per così dire a casa riemergendo dalle devastazioni della vita militare, mentre di Ilyas si perderanno del tutto le tracce e la sua scomparsa rappresenterà un mistero che aleggerà pesante sino alle pagine conclusive del libro, dove si potrà conoscere la sorte dell’askaro dopo la fine del conflitto e l’uscita di scena dei tedeschi con pronta sostituzione, in quegli stessi luoghi, da parte dei britannici. La trama abbraccia a poco a poco diversi personaggi, tra principali e secondari, le cui vicende finiscono per intersecarsi e restare indissolubilmente legate le une alle altre.
Pubblicato per la prima volta nel 2020 in lingua originale con un titolo, “Afterlives”, ben più evocativo rispetto a quello scelto in sede di traduzione italiana, “Voci in fuga” non è, a mio parere, tra i migliori scritti di Gurnah. Al lettore attento che abbia già avuto modo di appassionarsi alle storie narrate nelle due sopraccitate pubblicazioni non passerà inosservata, nell’incipit in senso lato, qualche nota stonata che rende la prosa a tratti un poco confusa, lontana dal fascino di quella a cui lo scrittore tanzaniano ci aveva abituati; inoltre, si registra l’assenza di un glossario che avrebbe potuto essere, come in “Paradiso”, un valido aiuto per comprendere con esattezza numerose parole ed espressioni in swahili disseminate qua e là nel testo. La narrazione, procedendo, si riprende a poco a poco e finalmente, dopo qualche decina di pagine, inizia a diventare più coinvolgente a partire dal racconto di Afiya bambina, finché non cattura del tutto man mano che si seguono dentro e fuori la Schutztruppe le vicissitudini di Hamza (nelle quali si ritroverà, non senza sorpresa, quelle dell'indimenticabile Yusuf protagonista di “Paradiso, sin dove lo avevamo lasciato). Allora si riconosce il vecchio stile di Gurnah, il suo modo di narrare ordinato e suggestivo, degno di antichi cantastorie, che d’improvviso ci trasporta in un mondo ricco di echi culturali davvero interessanti. Intanto, la storia prosegue, accompagnata dalla grande Storia che scivola in modo sempre più inesorabile verso nuove invasioni e nuovi conflitti; sarà a questo punto, a solo una cinquantina di pagine dalla conclusione, che si comprenderà il significato profondo del titolo originale inglese, quando inizieranno i “sussurri” del piccolo Ilyas, il figlio di Hamza e Afiya chiamato con lo stesso nome dello zio scomparso anni prima della sua nascita.
Purtroppo, l’ultimissima parte, quella che – come preannunciato – conduce infine a svelare quanto accaduto all’Ilyas askaro, cade in una sorta di esposizione fredda e frettolosa che stride decisamente con tutto quel lungo, precedente intermezzo molto ben riuscito dallo stile inconfondibile dell’autore. Nel complesso, un libro che merita comunque di essere letto, seppur non la miglior prova di Abdulrazak Gurnah. Un romanzo, “Voci in fuga”, che a sua volta non manca di puntare il dito contro la brutalità del colonialismo e della guerra in generale, arricchendo senza dubbio le conoscenze dei lettori occidentali su quell’affascinante zona dell’Africa orientale e la sua variegata storia.