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Voci del verbo andare Voci del verbo andare

Voci del verbo andare

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Richard è un filologo classico in pensione, quasi per caso entra in contatto con un gruppo di africani alloggiati in un campo profughi di Berlino. È un uomo solo, vedovo e senza figli, e ha molto tempo a disposizione; in quel luogo si scoprirà capace di ascoltare le vite degli altri, le peripezie e le vicissitudini di chi viene dal Ghana, dal Ciad, dalla Nigeria, storie di lutto, fame, guerra, coraggio e difficoltà. Nel dialogo con gli esuli Richard scorge un'umanità a tratti capace di essere innocente e integra. La sua cultura classica funge da elemento rivelatore, lo aiuta a immergersi in un mondo e in una diversa visione del mondo, a confrontare valori a volte contrapposti. L'antichità e la modernità, l'universalismo e l'interesse individuale, il difficile bilanciamento tra gli ideali e la sopravvivenza. Gli uomini a cui pone le sue domande sono riusciti ad arrivare a Berlino nell'autunno del 2013, dopo essere sbarcati a Lampedusa. Sono quattrocento stranieri in terra straniera, e tutto per loro è diverso, difficile, alieno. Prima si accampano in una piazza del quartiere Kreuzberg per chiedere aiuto e lavoro, ma la polizia li sgombera e li ricovera nella zona orientale della capitale. Vitto e alloggio, una prima conquista, e poi un corso per apprendere la nuova lingua. Ma per loro, come per quasi tutti quelli che sono scappati dai paesi di origine per approdare in Europa in cerca di un rifugio, la normalità è una conquista difficile.



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Voci del verbo andare 2018-05-16 14:56:13 topodibiblioteca
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topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    16 Mag, 2018
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Voci dall'Africa

Libro vincitore del premio Strega europeo 2017: potrebbe essere sufficiente questo riconoscimento per comprendere che si tratta di un’opera che non è passata inosservata. Già dal titolo, "Voci del verbo andare", si riesce ad intuire il fil rouge attorno al quale si costruisce la narrazione dell'autrice Jenny Erpenbeck. Le voci sono quelle dei migranti africani, dei profughi sbarcati prima sulle coste italiane di Lampedusa e poi finiti a Berlino in attesa di ricevere un permesso di soggiorno per potere lavorare e costruirsi così un futuro dignitoso. Si tratta di voci che corrispondono a persone provenienti da Niger, Nigeria, Ghana, Burkina Faso e tanti altri paesi dell'Africa sub sahariana, accomunate dal destino di essere finite in Libia per sfuggire a miseria, tragedie personali, persecuzioni, ma che a loro volta si sono ritrovate imbarcate (molto spesso anche forzatamente) su natanti diretti in Italia, vittime del business dei migranti. Voci in movimento, come testimoniato dall’uso del verbo "andare", dirette verso un traguardo, una vita migliore. Ad ogni voce viene dato un nome, un volto.
Questo compito spetta a Richard, professore tedesco in pensione, ex insegnante universitario di filologia classica, che decide di trascorrere il tempo libero di cui ora gode occupandosi di queste persone, intervistandole nelle strutture in cui sono state temporaneamente collocate in attesa dei provvedimenti del governo tedesco che deciderà sulle loro sorti, sulla possibilità di rilascio di un permesso di soggiorno. Richard mescola il presente con il passato, fa parallelismi tra la condizione dei migranti e la vita in Germania quando esistevano ancora la DDR ed il muro di Berlino cercando di trovare punti di contatto. Utilizza le proprie conoscenze di cultura classica dando soprannomi ad alcuni dei migranti, li ospita a casa sua, si preoccupa del loro futuro, tenta di trovare delle occupazioni temporanee. In sintesi diventa il loro padre adottivo in quanto capisce le difficoltà nel sensibilizzare l’opinione pubblica tedesca sulla condizione di questi stranieri.

Voci del verbo andare è un libro di “riflessioni”, pacato ma allo stesso tempo rabbioso, in quanto mette in mostra alcuni lati oscuri della società del nostro tempo, alcuni egoismi che portano Richard a concludere che “…la pace, che è sempre stata la massima aspirazione dell’uomo e che finora si è realizzata in cosi poche regioni del globo, ci impedisce dunque di farne oggetto di condivisione con coloro che da noi cercano rifugio e ci spinge a difenderla in modo così aggressivo”.

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