Voci dalla luna
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Ci sono cose peggiori che amarsi.
Voci Dalla Luna – Andre Dubus, 1984
Letta una recensione ispirata non ho avuto pace e ho dovuto prenderlo subito.
Così mi è toccato il cartaceo e pure della biblioteca. Impossibile sottolineare, ne è risultata un’accozzaglia improbabile di post it costellati da punti esclamativi e stelline.
Ho passato l’ora precedente a “sbobinare” tutto quello che avevo “post-ittato” sul libro, trascrivendolo. Non potevo aspettare? No.
E meno male che non l’ho fatto. Sarà che il 2017 è un anno (già si è capito) di letture grandiose, ma Dubus, mai visto, né sentito prima, splende fra le stelle di prima grandezza (con la Yourcenar, Saramago e Dostoevskij, tanto per dire).
Poco più di un centinaio di pagine, una manciata di personaggi, una storia “piccola”: una coppia di mezza età, Greg e Joan, separata da un po’, il padre che vive con il figlio più piccolo, Richie. Altri due figli, grandi, già fuori casa. E proprio di Brenda, la ex moglie del figlio maggiore Larry, si innamora Greg. Che non solo la frequenta, ma vuole sposarla. E andrà a farlo altrove, dal momento che, nello stato in cui vivono, è un reato che l’ex suocero sposi la ex nuora.
“Sarà molto difficile rimanere cattolici a casa nostra.” Commenta Richie, dopo aver assistito, non visto, al colloquio rivelatore fra il padre e il fratello maggiore.
Poche pagine su ogni personaggio. Richie, Greg, Brenda, Larry, Carol (l’altra figlia di Greg) e, infine Joan. Una storia che si dipana in frasi brevi (virgola, punto. Virgola, punto e virgola, punto) che ricordano un po’ Steinbeck, nella forma e nell’asciuttezza, ma che evocano un mondo di sfumature attente e precise, di sensazioni chiare, di riflessioni che a vederle scritte suonano familiari, ma quando le facciamo, probabilmente, non ci soffermiamo abbastanza per coglierle davvero. Andiamo troppo di fretta.
Così, in pochi tocchi e poche pagine, i personaggi appaiono sul palco e il riflettore della scrittura li rivela: i loro punti di forza e di debolezza, Greg che è un’inconsapevole colonna di forza e di energia, Larry che ha un talento che è una maledizione, perché non ha un grammo della forza del padre, Brenda, con il suo occhio lucido e razionale che accetta e si accetta, senza drammi inutili, ma con comprensione infinita, Carol che ama il padre, anche di più da quando ha scoperto che non è il mito che vedevano i suoi occhi di bambina (perché sì, qualche volta può anche essere semplice e non è affatto male) e Richie che ha «imparato a rendere fisica la propria solitudine spirituale e, attraverso il proprio corpo, a farlo in comunione con la neve e i sempreverdi, con gli alberi nudi che gli mostravano il cielo luminoso e con il corpo di una cavalla e la terra che i suoi zoccoli pestavano, l’aria che fendeva e questo bosco e gli scorci di cielo blu e caldo tra le foglie».
E infine c’è Joan, che ha il bellissimo compito di abbracciare con lo sguardo tutti i personaggi, avendo scelto di essere altro da loro e ancora e comunque, parte di tutti. Joan che descrive con precisione chirurgica quello che succede quando un amore finisce e che passa il resto della sua vita a riprendersene. Senza rimpianti e acrimonie. Riprendendosi sé stessa ed accogliendo gli altri.
E chiudo qui.
Da leggere, davvero, da leggere.
(Per dire, tre personaggi femminili e mi son piaciuti tutti e tre. E quello che mi è piaciuto più di tutti è una madre. Si diceva Steinbeck. Giusto a lui era riuscito).
Indicazioni utili
Peccato
Ecco un'occasione mancata, un romanzo breve o racconto lungo di un autore statunitense da cui, a giudicare dalla prime pagine, ci si sarebbe aspettati mirabilia.
Deliziosa la figura del dodicenne Richie, aspirante prete alle prese con i primi sussulti del cuore e dei sensi: la sua purezza d'animo incanta e la sua fede, espressa nei termini più semplici e puri, convince ed intriga per il netto contrasto con la turbolenta situazione familiare.
Situazione che lo scrittore delinea magistralmente e con un solido approfondimento psicologico:
un quarantesettenne che intraprende una relazione con la giovane ex moglie del figlio maggiore, un matrimonio di lungo corso finito per noia e un fresco amore coniugale profanato dalla perversione di coppia. E poi, peccatucci nascosti nei cassetti, sensi di colpa accantonati, qualche bicchiere di troppo e dialoghi ben costruiti, che producono un effetto quasi sonoro nella loro autenticità.
Il problema è che sulla narrazione si impone sempre più, come un'arietta in crescendo, un'ondata di melassa filocattolica e molto americana che invita al perdono, all'indulgenza, ad una certa nobile rassegnazione (la "croce" da portare con dignità) e all'improvviso torna il sorriso su ogni viso, mentre gli occhi luccicano di rinnovata speranza in un avvenire accettabile, se non proprio migliore.
Le pagine di un ballo sensuale e innocente tra padre e figlia, col cuore traboccante d'amore per il genitore-cucciolone, risultano addirittura stucchevoli, sebbene stilisticamente impeccabili.
Una bella prosa sprecata a servizio esclusivo dei buoni sentimenti: questo sì, peccato mortale.
Indicazioni utili
- sì
- no