Vicolo del mortaio
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Vicolo di umanità
«Il tramonto si annunciava e il Vicolo del Mortaio andava coprendosi di un velo bruno, reso ancora più cupo dalle ombre dei muri che lo cingevano da tre lati. Si apriva sulla Sanadiqiyya e poi saliva, in modo irregolare: una bottega, un caffè, un forno. Di fronte ancora una bottega, un bazar e subito la sua breve gloria terminava contro due case a ridosso, entrambe di tre piani.»
Ci son due cose che balzano immediatamente all’occhio del lettore che si avvicina alla lettura di “Vicolo del Mortaio” di Nagib Mahfuz. La prima è la grande accuratezza delle descrizioni che riesce a rendere ogni passaggio, ogni battuta, ogni personaggio, vivido e contestualizzato. Questo proprio perché tra le grandi capacità del narratore vi è quella di riuscire a riportare il conoscitore in quel vicolo con piccole pennellate che rendono tangibile e concreto il luogo. La seconda, invece, è la grande attualità. Chi legge non si rende ben conto del periodo storico, è consapevole che l’opera abbia qualche anno ma la sente vicina, quotidiana. Non sente il peso degli anni, sente che è al contrario un’opera contemporanea, non datata, che è capace di suscitare senso di comunanza. Questi due elementi suscitano sin da subito profonda empatia con lo scritto, un testo che ha molto da dire e che ben contestualizza storie di ordinaria quotidianità. Altro tassello, questo, simbolicamente il terzo se vogliamo aggiungerne uno extra ai due già citati, che ne conferisce ulteriore e profonda sostanza. Non ci sono vinti e non ci sono eroi, non ci sono supereroi, tra queste pagine, ci sono vite. Vite di uomini e di donne, vite di persone che combattono ogni giorno la propria singola e individuale battaglia personale, con coraggio, con forza. Questo anche quando al contrario potrebbe sembrare prevalere un senso di arrendevolezza a quelli che sono i fatti, le circostanze. Non solo, questi uomini e queste donne, sembrano proprio non volersi arrendere a quel senso di sopravvivenza perché la vita è una ed è preziosa e bella e allora perché non viverla davvero?
«Con lo scoppio della guerra, aveva preso servizio nelle guarnigioni dell’esercito britannico, dove riceveva trenta piastre al giorno contro le tre del suo primo impiego […] Si dava alla bella vita con sfrenato entusiasmo.»
Classe 1947 è “Vicolo del mortaio”, scritto del premio Nobel egiziano Nagib Mahfuz che ci trasporta a Il Cairo. Siamo davanti a una realtà di povertà, di malattia e di desiderio costante e pulsante di riscatto. Un riscatto che vede anche il desiderio di soddisfare impulsi e aspirazioni ma anche di realizzare progetti.
È un libro dove emergono molti personaggi che, tutti insieme, danno vita a un’opera corale fatta di semplicità e umanità. Tra tutti i personaggi quello che maggiormente emerge è certamente Hamida, figlia adottiva di Humm Hamida, inserviente nei bagni pubblici e mezzana di matrimoni. È una giovane bellissima che è amata da Abbas. Quest’ultimo, un giorno, si dichiara alla ragazza promettendole di arruolarsi nell’esercito inglese al fine di guadagnare denaro per poterla sposare. Hamida è una donna animata da sogni di evasione, è una donna che vive in un contesto che le sta stretto. Accetta seppur riluttante il fidanzamento ma nel cuore pulsa e vive.
«Niente è più brutto di una parola d’amore pronunciata freddamente da una bocca annoiata.»
“Vicolo del Mortaio” narra di uomini e donne con pregi e difetti, donne e uomini che cadono e si rialzano, che combattono ogni giorno le proprie singole battaglie. È un libro che si apre all’occidente mostrandosi con i suoi scheletri nell’armadio, che non giudica ma che delinea. L’esser caratterizzato da una narrazione universale lo porta ad essere un titolo capace di suscitare riflessione e di rendere verosimile un contesto politico-sociale-religioso anche a distanza di settantasei anni. Da leggere.
«Il buon Kamil si accigliò, impallidì e gli occhi si riempirono di pianto ma lo Shaykh alzò le spalle indifferente e continuando a fissare il soffitto proseguì:
Chi muore d'amore, di pena se ne muore
senza di questo non c'è alcun bene nell'amore.
Infine si stropicciò le mani soffiandovi sopra e concluse:
"Signore e giudice di ogni cosa, concedici la misericordia dei santi. Signore, che io possa essere paziente, non ha forse ogni cosa la sua fine? Sì, ogni cosa ha la sua fine, che in inglese si dice end e si scrive e.n.d."»
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Storie di ordinaria umanità
“Vicolo del mortaio” è un romanzo scritto nel 1947 dal premio Nobel egiziano Nagib Mahfuz. Vi si raccontano storie di ordinaria umanità di alcuni abitanti di una stradicciola de Il Cairo: molti di questi personaggi devono fare i conti con la povertà, la malattia, con il bisogno di riscatto, con il desiderio di soddisfare i loro impulsi e le loro aspirazioni e progetti. Insomma, devono fare i conti con la banale e al tempo stesso imprevedibile e capricciosa esistenza.
«Il tramonto si annunciava e il Vicolo del Mortaio andava coprendosi di un velo bruno, reso ancora più cupo dalle ombre dei muri che lo cingevano da tre lati. Si apriva sulla Sanadiqiyya e poi saliva, in modo irregolare: una bottega,un caffè, un forno. Di fronte ancora una bottega, un bazar e subito la sua breve gloria terminava contro due case a ridosso, entrambe di tre piani.»
Leggendo queste pagine non ho potuto non pensare ad un altro Autore che ha descritto con ironia e delicatezza questa smania che abbiamo noi esseri umani di trascinarci oltre la squallida sopravvivenza cercando l’amore e la felicità e sfidando, a volte con coraggio, a volte con incoscienza e scarsa consapevolezza, i capricci della fortuna e la nostra sorte. In effetti si tratta di un Autore particolarmente lontano nel tempo e nello spazio dall’arabo Mahfuz ma che, almeno in questo scritto, lo richiama davvero molto: Boccaccio. Sì, gli abitanti del Vicolo del Mortaio mi hanno ricordato i personaggi delle novelle del Decameron. In comune gli uni e gli altri hanno il desiderio di vivere una vita felice e appagante che molto spesso però viene frustrato dalla realtà di un mondo ingiusto, iniquo, disonesto e scorretto che si manifesta con il volto capriccioso di un destino che elargisce o toglie doni o soddisfazioni a caso. E noi poveri esseri umani rimaniamo lì, incapaci di comprendere davvero; confortati ora dall’ironia ora dalla speranza che ci sia un Essere Superiore che ci protegge.
“Vicolo del Mortaio” è un romanzo effervescente, fresco e piacevole nella sua prosa quasi cinematografica, che ci porta sì in un angolo de Il Cairo durante la seconda guerra mondiale ma ci accompagna anche, come una buona opera letteraria dovrebbe fare, all’interno di storie di ordinaria e anche straordinaria, umanità.
«Nelle prime ore della giornata l’aria nel vicolo ombroso era umida e fredda. Il sole vi penetrava solo quando giungeva allo zenit, superando lo sbarramento delle case. Eppure fin dal primo mattino ogni angolo si animava. Cominciava Songor, il ragazzo del caffè, a sistemare le sedie e ad accendere il fuoco. Poi arrivavano gli impiegati del bazar, a due a due o alla spicciolata, quindi appariva Gaada che portava l’asse con la pasta di pane.»
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Umanità varia
Una strada del Cairo alla fine della seconda guerra mondiale che fa da perno e crocevia a tante storie a tanta umanità e a situazioni di vita delle più disparate.
Lo stile di Mahfouz è fluido ed elegante, i personaggi vengono tratteggiati con sensibilità e particolarità, le vicissitudini dei protagonisti del libro vengono narrate con grande maestria.
Apparentemente un libro in cui gli uomini vengono messi in risalto di più per l'azione e capacità organizzativa(il dentista, il saggio che dirime le questioni personali, lo storpiatore, l'oste etc) , ma allo stesso tempo, a mio parere, un testo in cui le donne hanno il polso della situazione smentendo così un luogo comune che vuole le donne musulmane assoggettate completamente ai loro uomini.
Basti pensare al carattere fortissimo della moglie del proprietario del caffè ed a Hamida stessa (la vera protagonista del libro).
Libro molto particolare e ben scritto,
io a dire il vero non sono rimasto particolarmente invischiato emotivamente da tutte queste storie, però apprezzo un romanzo come questo perché ti fa entrare proprio in un'altra dimensione di pensiero e di azione rispetto a quelli che sono i nostri clichè e le nostre abitudini.
Bene x l'originalità
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L'Egitto di Mahfuz
Brulica di vita e di voci, notte e giorno, il Vicolo del Mortaio.
Con questo romanzo Mahfuz ci trasporta nel cuore de Il Cairo ai tempi dell'occupazione britannica durante la seconda guerra mondiale.
Il vicolo è un microcosmo, teatro di passioni, vendette, dissapori; una piccola città nella città regolata da ritmi, relazioni sociali ed interscambio.
La penna dell'autore egiziano riproduce una rappresentazione dai connotati realistici, trascinando il lettore a spasso tra botteghe di artigiani, caffè, abitazioni; sono palpabili gli aromi che aleggiano, dalle fragranze tipiche di quella terra agli odori più pungenti.
Tanti uomini e tante donne calcano la scena di questo romanzo, colti con uno sguardo venato di ironia e leggero, uno sguardo che non condanna e non giudica.
L'umanità ritratta da Mahfuz, combatte spesso con la miseria e col dolore, combatte contro il destino e la drammaticità della vita, ma lo fa con vigore, senza crogiolarsi in autocommiserazione.
E' un'umanità che fa delle scelte, vuoi mossa da egoismo vuoi mossa da generosità e passione.
Dalla lettura di quest'opera si evince tanto sull'autore; un pensiero aperto ad un confronto con le culture occidentali,la capacità di raccontare l'uomo senza giudicare, la voglia di parlare del proprio paese senza censure e senza veli.
Gli uomini di Mahfuz si raccontano in quanto uomini e non in base al loro credo religioso o alle convenzioni socio-culturali.
Da qui le potenzialità di un autore che partendo da una narrazione legata al localismo della propria terra, giunge ad una narrazione di carattere universale.
Una voce raffinata, che non si serve mai di toni accesi, che lascia dialogare i propri personaggi rimanendo dietro le quinte, facendo capolino di quando in quando per dare spazio alle dovute riflessioni.