Via d'uscita
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Recensione della Redazione QLibri
Corpo, mente e (forse) anima
Via d’uscita è un romanzo che susciterà perplessità in molti lettori. Da una parte ci sono pagine bellissime, come ad esempio i primi due capitoli e la parte finale. Dall’altra c’è una trama con cadute di stile e uno sviluppo che andava studiato meglio.
Il tema potrebbe essere drammatico: a un uomo, Charlie, l’io narrante, è stata fatta una diagnosi di cirrosi con una prospettiva di vita di 6 mesi. Charlie è uno scrittore e vuole sfruttare il tempo che gli resta per scrivere qualcosa di attinente alla sua situazione. Vuole riflettere su “se stesso che medita sulla sua prossima morte”, decide perciò di scrivere del dualismo corpo-mente, forse triangolo a volerci inserire anche l’anima o la coscienza.
Dunque il romanzo procede nel descrivere gli ultimi mesi di vita di Charlie inframmezzato da pagine del romanzo nel romanzo che sono piuttosto intellettuali e ardue. Queste pagine a me sono sembrate spesso pretenziose e anche inconcludenti, un inutile sfoggio di conoscenze.
La stessa impressione può suscitarla la vita di Charlie a partire dal capitolo 3 in cui compare il suo agente, un personaggio grottesco che mal si inserisce nella storia, interessato solo ai soldi e incapace della più ovvia ipocrisia o di un superficiale dispiacere di fronte alla malattia di Charlie. Queste pagine sono quelle che più hanno colpito i critici del Library journal e del New York Times per la loro comicità. A me sono sembrate fuori luogo nel contesto del libro, soprattutto per l’impostazione del libro che manca di coerenza: mi aspetterei un testo o grottesco o serio, o drammatico o comico. Ma così mi pare un insieme male amalgamato delle due cose. Il testo è pieno di stranezze alla St Aubyn: Charlie dice di essere ridotto in povertà e si scopre che ha una villa miliardaria da vendere. Dice di essere moribondo e non ha un sintomo, non passa un’ora in ospedale, viene curato con Prozac, un antidepressivo. Il lettore dubita da subito e non a torto della salute mentale del suo medico. Così pure il grande amore con Angelique altro non è che una squallida storia di sesso a pagamento a prezzi così esorbitanti da riuscire a confondersi con una grande storia d’amore. Mentre leggevo il romanzo mi chiedevo dove ST Aubyn volesse andare a parare. Se il romanzo volesse essere commerciale, una via di mezzo o cosa. Leggendo però le ultime bellissime pagine credo di avere capito che la trama e i personaggi spiazzanti derivano da una difficoltà reale dell’autore con tutto quello che ha a che fare con le relazioni umane, quindi nel decifrare emozioni e sentimenti. Una difficoltà così enorme da fargli vedere l’amore dove non ce n’è traccia e da fargli evitare i rapporti dove potrebbe esserci qualcosa di vero come quello con l’ex moglie e con la figlia che sono dichiarate importanti per lui ma occupano un numero irrisorio di righe nel romanzo.
Questa difficoltà di relazione profonda viene riconosciuta da Charlie stesso non per un processo intellettuale ma per una improvvisa intuizione. Per effetto di quella intuizione Charlie riesce a intravedere la sua malformazione interiore dovuta al rapporto con i genitori e all’anaffettività della madre che gli impedisce quella che lui chiama intimità. Arrivati alle ultime 50 pagine, Charlie, parla in modo finalmente sincero della sua paura di covare in sé il germe delle cattiverie dei suoi genitori, parla del suo desiderio di essere una brava persona, nonché del suo sconcerto per dover fare uno sforzo di volontà per esserlo. Parla del suo desiderio di amare e di essere amato destinato a restare un miraggio per la sua incapacità totale dovuta a una vita passata a tirare su difese e barriere che gli impediscono la vera intimità. Parla, lui l’autore del best seller Alieni dal cuore umano, di come si senta circondato da esseri umani dal cuore alieno.
Molto bello il fatto che anche se le sue ruminanti pagine del libro nel libro intorno al dualismo mente corpo non fanno che girare in tondo al nulla, anche su questo problema arriva, tramite una intuizione e non un ragionamento, a uno spiraglio grazie alla contemplazione della bellezza. Là dove l’amore non può penetrare per le inattaccabili difese erte dalla mente in modo anche inconscio, penetra la bellezza di un paesaggio, verso la quale St Aubyn ha una grande sensibilità, che gli regala un attimo di quella preziosa intimità che va cercando dove manca (squallide relazioni). La Bellezza apre la sua riflessione al mistero in cui siamo immersi. Mistero che si manifesta nell’avere una coscienza oltre che una mente pensante. Il mistero lo intravede non solo come limite e impotenza dell’umano intelletto a spiegare se stesso, ma come uno spazio di libertà e questa idea dà finalmente conforto al (forse) moribondo Charlie. Capisce anche che intuire è qualcosa meno che capire, nel senso che per un attimo si sfiora qualcosa al di sopra delle nostre possibilità di comprensione e capisce che per trattenere il lampo di libertà che si nasconde nel cuore delle cose dovrà lottare contro la futilità quotidiana.
Tutto sommato St Aubyn è uno scrittore che mi fa simpatia. Anche se ha una vena futile, narcisistica e pesante, un gusto per la frase a effetto che si spinge fino a rendere certi personaggi piatti e caricaturali, persegue anche una sua ricerca interiore per cui la sua scrittura ha momenti di grande sincerità.