Vergine giurata
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Hana
Hana Doda è una vergine giurata. Da oltre quattordici anni ha deciso di abbandonare i suoi abiti e modi femminili per indossare i panni di un uomo. Per questo si fa chiamare Mark, per questo fuma e beve alcolici a sfare, per questo si è assuefatta completamente a quelli che sono gli usi e i costumi dell’altro sesso. Questo ha voluto la tradizione, questo ha richiesto quella consuetudine non scritta che vige tra le Montagne Maledette dell’Albania e che è contenuta nel Kanun, codice di leggi legati a usanze che risalgono al 1400.
La donna, secondo quest’ultimo, deve rimanere fedele al marito, deve servirlo e essergli sottomessa, deve assecondarlo in ogni suo bisogno nonché far fronte alla crescita dei figli. Senza mai ribellarsi, senza mai osare mettere in dubbio la parola del pater familias. E se questo lo ritiene opportuno, per ottemperare alla sua disobbedienza, ha diritto di punirla, di bastonarla, di canzonarla. Se ancora figli maschi non ci sono, una delle femmine può decidere, per varie ragioni, di abbandonare la sua natura, giurare sulla propria verginità e di rendere onore a quella che è la sua famiglia.
Hana, lo ha fatto, ma adesso, qualcosa in lei si è rotto. Abbandona quelle Montagne che l’hanno vista morire e parte per il nuovo mondo dove l’aspetta Lila, una lontana parente, e la sua famiglia. Qui Hana dovrà rimettersi in discussione, ritrovare sé stessa, capire chi è, cosa vuol fare della sua vita, ma soprattutto tornare a sentire, a essere viva. Perché il suo corpo e la sua mente sono spenti, morti, autistici alle emozioni. La sua è un’anima imprigionata che trova forza nelle parole scritte, nelle poesie, un’anima che è alla costante ricerca del suo posto.
Con “La vergine giurata” Elvira Dones ha creato ad un elaborato dalla prosa fluente e chiara, un testo che affascina e incuriosisce. Nonostante lo scetticismo iniziale che il lettore può nutrire, come nel mio caso, caso in cui confesso di essermi mossa con un leggero pregiudizio verso la vicenda descritta perché in parte mi sembrava inverosimile, nel proseguire, chi legge viene conquistato da quelle che sono le più intime e sperdute tradizioni della cultura albanese tanto che ha desiderio di approfondire.
L’opera purtroppo, per sua struttura, non consente di esaurire completamente lo studio della tematica ma permette certamente di venire a conoscenza di aspetti o argomenti sconosciuti a chi è cresciuto nel mondo occidentale e quindi costituisce una buona base di partenza per poi avvicinarsi ad altri componimenti affini. Dal punto di vista psicologico la protagonista è ben descritta, le vengono dati i tempi necessari per raggiungere una sua dimensione, ma superficiale è e resta l’analisi relativa al trauma subito.
Ad ogni modo un testo piacevole, meritevole di essere letto e capace di favorire la una visione a 360° di una realtà quasi completamente sconosciuta.
«Non era vita, era l’annientante respiro della paura, il dolore che rasentava il piacere atroce di una morte sempre lì a bussare senza arrivare mai. Si faceva sentire, la morte, ma non veniva. Cattiveria pura, minaccia centellinata, incubo che non potevi cacciar via.»
«E’ bello sapere di non dover morire»
Indicazioni utili
"Nessuna mano mi sfiorerà. Giuro la mia verginità
Mi aveva colpito, tanto da spingermi a leggere il libro, la notizia che in alcune parti dell'Albania (paese vicinissimo all'Italia) ci si attenga ancora al Kanun, il codice di leggi legate a tradizioni e consuetudini che risalgono al 1400 circa. Un codice che ha costruito una società patriarcale e maschilista, che consente la vendetta cruenta e prassi che non possiamo non ritenere barbariche.
Questo codice non scritto prevede diritti e doveri per tutti. Alle donne il dovere di rimanere fedele al marito, di servirlo, di essergli sottomessa, di soddisfare i bisogni coniugali, di allevare i figli e tenere a posto scarpe e vestiti. Agli uomini il diritto di correggere la moglie, di bastonarla e di legarla in caso di disobbedienza.
In pratica la brava donna albanese deve avere le seguenti caratteristiche: sopportazione, abnegazione e accettazione del proprio destino.
Cosa ci azzecca tutto questo con il libro? Una delle leggi del Kanun prevede che in assenza di maschi in famiglia, una figlia possa "diventare uomo", ossia smettere di comportarsi da donna, giurare verginità per il resto della propria vita e acquisire di conseguenza tutti i privilegi concessi dalla legge agli uomini, in altre parole diventare "libera".
Riformulo in modo più conciso: "smettere di essere donna per diventare libera"!
Possiamo solo immaginarci quali conseguenze psicologiche possa portare una decisione di questo tipo, specie in giovane età. Purtroppo gli aspetti psicologici di questa terribile scelta nel libro sono solo appena delineati e lasciati alla nostra immaginazione.
Il libro è certamente ben scritto, scorrevole e si legge con facilità. Ma non mi ha fatto entrare in quel mondo rurale, chiuso e arretrato, non mi ha calato in quelle pesanti atmosfere, non mi ha fatto "capire". Quello che invece viene descritta è la fase di riappropriazione della identità femminile in America, un argomento importante ma certamente meno interessante.
E anche in questa seconda fase mi pare che tra le righe si voglia fare passare l'idea che una donna possa trovare "normalità" e "tranquillità" solo trovando un uomo o in generale "qualcuno".
Comunque un libro interessante che riesce in qualche punto a dire cose molto importanti:
"L’energia femminile non passa attraverso l’acquisizione dei diritti e dei poteri dell’uomo. Le donne non diventano qualcun altro e non si adattano a qualcos’altro. Non si tratta genericamente di impadronirsi di sé, né di giurare uno stato sociale e giuridico diverso."
Un romanzo interessante che parla di un tema molto importante ma che avrebbe potuto essere a mio parere decisamente più incisivo.
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Energia femminile negata
Tenera e terribile è la storia di Hana che si rifiuta di accettare il matrimonio combinato che permetterebbe allo zio di morire in pace, ma che la costringerebbe a rinunciare alla propria indipendenza. Elvira Dones scrive il romanzo nel 2007 e Laura Bispuri lo traduce in un film, candidato al Berlinare 2015, compiendo, assieme, ciascuna per sé, una consapevole ricerca identitaria.
p.177
È triste registrare come il maschile è stato ed è ancora, talvolta, considerato un ruolo socialmente vincente, salvato, protetto e comodo da vivere.
È così che il cammino di Hana da privato e intimo diviene storia della comunità: dagli imperativi creati dal sesso maschile predominante, agli svelamenti di una gioiosa differenza di genere.
Tra la fuga della sorellastra Lila e la rinuncia all’identità di Hana riconosciamo il rinnovamento di ogni donna che passa attraverso il desiderio.
p.124-125
L’energia femminile non ha bisogno di inni e slogan e non passa attraverso l’acquisizione dei diritti e dei poteri dell’uomo. Le donne non diventano qualcun altro e non si adattano a qualcos’altro.
Non si tratta genericamente di impadronirsi di sé, né di giurare uno stato sociale e giuridico diverso.
La libertà è riconoscere la fatica e il privilegio di assomigliare sempre più a se stesse, al proprio nucleo di verità.
È irreparabile la realtà carnale di essere quello che si è.
p.204