Narrativa straniera Romanzi Vecchi a mezzanotte
 

Vecchi a mezzanotte Vecchi a mezzanotte

Vecchi a mezzanotte

Letteratura straniera

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Noah è il sopravvissuto, l'unico della sua famiglia scampato ad Auschwitz. Leon Shertov è il fuggiasco, ex agente del KGB, torturatore e convinto stalinista, che ha abbandonato l'URSS a causa delle persecuzioni contro gli ebrei. Benjamin Walter è il maestro della guerra. Attraverso questi tre incontri, Chaim Potok ripercorre l'intero Novecento nei suoi drammi più feroci ed emblematici, e ne mette in discussione l'eredità.



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Vecchi a mezzanotte 2014-08-17 08:17:49 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    17 Agosto, 2014
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La memoria

Ma poi udii il bisbiglio Warum? e dai boschi si levò il canto dei tropi. Si alzava lentamente, come riccioli di foschia mattutina, e aleggiava, si diffondeva. Dagli alberi scheggiati e dai cimiteri barbari e dalla finestra aperta e dalla parete di titoli incorniciati alle sue spalle e dall'appartamento del signor Z. così nitido nel ricordo. Trascorse un lungo istante e poi capì che la parola, il canto nascevano da lui, dalle sue stesse labbra. E fu allora che, lasciando i bastioni varcò la soglia illuminata di se stesso e vide, come mai prima di allora, le radici denudate e i grovigli di connessioni da lungo tempo sepolti e fu sopraffatto da una pena infinita.


Questo non è il miglior romanzo di Potok. E' un libro fatto di più storie che in qualche modo si collegano in un unico disegno con l'espediente della scrittrice Davita, cui tutti raccontano i loro ricordi. Il tema è quello della memoria, del pogrom visto da più angolazioni.
In un certo senso il tessuto del romanzo ha come connessione interna la storia biblica del sacrificio di Isacco, del ragazzo sostituito all'ultimo momento dall'ariete. L'ariete bellissimo, caro agli angeli è l'ebreo e Abramo è il suo persecutore-nazista mentre i popoli civilizzati sono Isacco per il quale l'ariete dona la vita. Anche il persecutore merita di avere da Dio il suo ariete. Non per niente il personaggio migliore del libro è quello dell'agente del KGB, Shertov. Shertov non è cattivo, non è odioso, non è psicopatico ma si trova non per causa sua ma quasi per caso a occupare la poltrona di chi fa gli interrogatori per il KGB, di chi fa sempre confessare la sua vittima.
E' interessante come Potok cerchi di vedere le cose dalla parte del persecutore. Non per niente sceglie come protagonista un ebreo (non un tedesco) agente del KGB sotto Stalin ai tempi delle persecuzioni contro gli ebrei e non solo. Il racconto parla della lentissima presa di coscienza di Shertov di trovarsi dalla parte sbagliata a dare man forte a uno psicopatico (Stalin).
Tutti possono essere dalla parte del perseguitato o del persecutore.
Il romanzo racconta il pogrom da tre angolazioni: il sopravvissuto (Noah), il carnefice (Shertov), il testimone (Benjamin). Bisogna stare molto attenti a non essere dei Shertov e, ammesso che serva, sperando che serva, ricordare.

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Vecchi a mezzanotte 2014-05-15 16:42:01 Pelizzari
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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    15 Mag, 2014
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Incontri

Tre incontri che sono storie nella Storia: il primo non mi ha dato niente, il secondo tanto, il terzo molto poco. Ho trovato questo libro molto difficile da leggere, non tanto per il linguaggio, quanto proprio per l’articolarsi della storia, per la conoscenza del mondo ebraico che secondo me è requisito essenziale per comprenderne molte parti, per la passione per la storia che secondo me deve essere una scintilla già presente in un lettore prima di affrontare questo tipo di lettura. Tutto ruota attorno ad un’insegnante che incontra un ragazzo ebreo di 18 anni, un anziano docente di storia ed un ex agente del KGB. Questi incontri avvengono in anni molto diversi, dopo la fine della guerra, all’inizio degli anni ’90 ed alla fine degli anni ’50. Un po’ i personaggi, decisamente anomali e non immediati, un po’ questo su e giù nella Storia che già non è una mia passione, un po’ l’atmosfera grigia che permea tutte le pagine…insomma per me questo libro è stato davvero un peso, anche se il cuore del messaggio è proprio il rapporto della Storia, intesa come gli anni che passano, con i singoli personaggi ed il loro destino. Le pagine che mi hanno interessato di più sono i racconti del maestro di guerra e le scene dell’ospedale da campo: c’è tanta umanità e tanta ferocia in quelle pagine, che mi hanno portato a riflettere sul fatto che senza storie non esiste nulla, perché le storie sono la memoria del mondo, perché senza storie il passato viene cancellato.

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Vecchi a mezzanotte 2014-05-01 05:35:15 Emilio Berra TO
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Emilio Berra  TO Opinione inserita da Emilio Berra TO    01 Mag, 2014
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Davita nel tempo

"Vecchi a mezzanotte" è un libro che rappresenta l'ideale continuazione del bellissimo romanzo "L'arpa di Davita". Vengono qui focalizzati tre distinti momenti della vita adulta della protagonista: diciottenne studentessa e insegnante di Inglese; trentenne assistente universitaria; sessantenne scrittrice apprezzata e di successo.

Il primo episodio è situato nel 1947 e rispecchia storicamente l'approdo negli USA di ebrei scampati alle persecuzioni naziste.
Qui Davita impartisce lezioni al diciassettenne Noah, unico sopravvissuto della famiglia e del proprio villaggio, "che non sa ancora che cosa gli piace", frase che nella sua semplicità apre uno spiraglio sul baratro che ha alle spalle. Egli si è salvato perché possiede una peculiarità che interessava ai tedeschi. Il suo blocco emotivo racchiude in sé la scioccante immagine della sinagoga del villaggio in fiamme, con l'anziano Custode dell'Arca che "si lancia verso il fuoco e le nubi. (...) La sinagoga gli crollò addosso, e non lo vedemmo più". La misurata e definitiva espressione mi ricorda la grandezza letteraria di alcune celebri 'chiusure' dello stile di Dante: "... più non vi leggemmo avante" (Francesca) ; "... infin che il mar fu sovra noi richiuso" (Ulisse).

Il secondo episodio si svolge alla fine degli anni '50; mostra Davita che accompagna un fuoruscito dall'URSS a tenere un ciclo di conferenze presso l'Università sul tema "La psiche sovietica". In un successivo incontro lo convince a dire qualcosa sulla sua esperienza in Unione Sovietica: riceve un lungo resoconto agghiacciante, che ci fa capire come la letteratura sappia entrare nella Storia e rappresentare sconvolgenti 'vissuti', che freddi dati e statistiche non possono offrirci.
Il nostro personaggio conduceva interrogatori, con annessi 'strumenti di persuasione' e torture, per estorcere le 'confessioni' volute. Per analogia, come non ricordare quel piccolo grande libro, di A. Manzoni, che è "Storia della colonna infame"?
Potok, da grandissimo scrittore qual è, non ama soffermarsi sul sensazionalismo di scene raccapriccianti; il suo stile misurato, però, ancor più ci fa intravedere la portata di drammi, tragedie e terrore che hanno segnato il potere sovietico, soprattutto con Stalin. Ci fa scendere 'a occhi aperti' nei meandri dell'orrore, e implicitamente riflettere sulla disumanità di dittature e totalitarismi, mostrandoci la devastazione non solo di chi subisce, ma anche in chi gestisce tale sistema di atrocità.

Nell'ultima parte, ci troviamo fra due prestigiose dimore d'epoca, con giardini contigui. In una abita, con la moglie malata, un noto 'sociologo della guerra' in procinto di scrivere le proprie memorie, lautamente remunerate; nell'altra è venuta a vivere Davita Chandal, scrittrice affermata, sempre alla ricerca di qualche storia che accenda la sua fantasia creativa.
Intorno alberi, boschi che lei immagina percorsi da un ariete. L'ambientazione è spesso notturna: ci si scorge dalle finestre illuminate. Fuori, le lucciole, "... in volo radente, rilucevano sul prato buio,trasformandolo in cielo stellato".
Tra un caffè doppio e una ciambella, in casa di lei, Davita insegna al professore, con metodo quasi freudianao, ad appropriarsi del passato. Qui ci addentriamo nell'alveo del processo creativo letterario e delle sue 'tecniche' : mentre lui dà forma con le parole al proprio rimosso, quelle stesse parole daranno spunto alla scrittrice per la creazione di una nuova opera.
Nell'aria notturna aleggia la parola tedesca "varum", "perché?", domanda emersa dalla profondità dei ricordi dell'uomo : quando, combattente nella Seconda Guerra Mondiale, si trovò al cospetto dei prigionieri di un lager nazista: " Perché ci avete messo tanto ad arrivare? ".

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In particolare: "L'arpa di Davita"
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