Valigie smarrite
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Jordi Puntí è nato a Manlleu (1967) e vive a Barcellona. Collabora abitualmente con "El Paìs", con "El Periódico", con la rivista "L'Avenç" e con Radio Barcelona. Le sue opere sono tradotte in numerose lingue e paesi. Nel 2010 Valigie smarrite è stato un sorprendente best seller in Spagna. Romanziere e noto traduttore, tra gli altri di Paul Auster, Amélie Nothomb e Daniel Pennac, è considerato una delle voci più promettenti della letteratura catalana contemporanea.
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Un francese, un inglese, un tedesco e uno spagnolo
Il titolo di questa recensione ricorda tanto le barzellette che andavano di moda negli anni ottanta. Un tedesco, un inglese, un francese ed uno spagnolo. Christof, Christopher, Christophe e Cristofòl. Sono i quattro figli del camionista catalano Gabriel Delacruz, quattro giovani fra i 30 e i 40 anni, che si ritrovano dopo che i vicini di casa hanno denunciato la scomparsa dell’uomo. Dopo lo shock iniziale, decidono di ricostruire la sua storia, mettendo insieme i pezzi del puzzle disseminati in tutta Europa. L’obiettivo palese è quello di ritrovarlo. Ma dietro questo intento si nasconde quello più puro e profondo di colmare il vuoto lasciato dall’abbandono inserendovi più dettagli possibili per far sì che la nebbia in quell’immenso spazio possa diradarsi.
Non voglio andare troppo per le lunghe: questo è il libro più bello che abbia letto negli ultimi tempi. L’unico difetto, insignificante se si pensa alla qualità complessiva dell’opera, è che talvolta l’autore si dilunga in alcune digressioni che fanno perdere il filo. Forse il suo scopo è quello di arricchire ulteriormente una galleria già complessa e stratificata di personaggi, luoghi e situazioni. Il troppo stroppia solo relativamente: nonostante sia un po’ prolisso, Jordi Punti riesce comunque ad appassionare e divertire creando storie vive e dense di passione.
Abbandonato a pochi giorni di vita in un mercato, con un biglietto sulla pancia riportante il suo nome, cresciuto nella Casa della Carità sotto lo sguardo severo ma benevolente di Suor Elvira, Gabriel appare subito come un uomo completamente privo di radici. Crescerà nella totale incapacità di legarsi alle persone, ad eccezione dell’amico fraterno Bundò, cresciuto insieme a lui nell’orfanotrofio e collega presso la ditta di traslochi La Iberica. Insieme a Bundò e a Petrolio, Gabriel girerà l’Europa. Conoscerà le madri dei suoi figli. Metterà al mondo tre dei quattro Cristofori e cercherà, per quanto possibile, di andare a trovarli e seguirne la crescita, fino alla tragedia che lo costringerà a fermarsi. Allora i figli saranno abbandonati. Cresceranno accompagnati dal fantasma di una figura quasi mitologica, frutto più della loro fantasia che dei frammentari racconti provenienti dalle madri.
Quando i quattro fratelli si conoscono, non c’è rivalità fra loro. Questo è un altro aspetto che mi è piaciuto. Nessuna diffidenza, nessun conflitto: solo complicità e comunione d’intenti nel ritrovare il padre. Sono loro i narratori della storia. Anche questa trovata è a mio avviso molto originale. Non si parla né in prima persona singolare, né in terza persona, bensì in prima persona plurale. Non mi era mai capitato di leggere un romanzo con questo stile narrativo e devo dire che l’ho trovato coinvolgente, solo a tratti vagamente artificioso.
Tuttavia, in certi punti della storia, l’autore è costretto a cedere la parola ad un singolo personaggio creando delle voci soliste. Così Christof, Christopher, Christophe e Cristofòl raccontano in prima persona l’assenza di Gabriel, ripercorrono le autostrade d’Europa alla ricerca del proprio passato, consapevoli del filo sottile che li lega a quel padre così evanescente ma al contempo così presente. Gabriel è infatti un uomo dalla genetica forte, che ha saputo imporsi sui DNA delle quattro madri, dando vita a dei ragazzi che gli somigliano, e si somigliano fra loro. Anche il collega camionista Petrolio (a cui la mania di frequentare i circoli di emigranti spagnoli sparsi in tutta Europa ha regalato l’incontro della vita) e la prostituta Carolina/Muriel si uniscono al coro. Si tratta di due individui fondamentali per lo sviluppo della storia, che conferiscono un’ulteriore fascino ad una vicenda che ha a tutti gli effetti il merito di farci conoscere una porzione consistente di mondo.
La storia descritta in Valigie Smarrite non è solo quella di Gabriel e dei suoi figli. Il romanzo racconta circa cinquant’anni di storia, ma il contesto socio-culturale ospita le vicende dei singoli individui senza mai sovrapporsi ad esse. È una cornice. È un contorno. Ma è fondamentale per comprendere tutti i cambiamenti di cui il nostro continente è stato protagonista.
Per chiudere la recensione, vale la pena fare un piccolo cenno al titolo. Valigie Smarrite. Credo che queste due parole riassumano il senso filosofico del romanzo. Nella vita infatti, a ciascuno di noi viene portato via qualcosa, o qualcuno. E, per compensare, cerchiamo – a volte senza alcun diritto – di riprenderci ciò che ci è stato tolto. Ma il senso dell’esistenza umana si può trovare solo in un delicato equilibrio fra il dare e l’avere. Ed è questo che Gabriel dovrà imparare.