Va tutto bene, signor Field
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Attesa protratta
Un pianista menomato da un incidente, una meraviglia architettonica costruita sul mare, una donna misteriosa a essa legata, l’attesa di un evento, travolto da tristezza e solitudine, imbevuto di sonno e di sogni, logorato dai fantasmi di una vita che possiede molteplici facce.
Arte e vita, musica e architettura, amore e morte, intrecci poetici che riflettono un racconto vissuto intensamente, monologo interiore protratto, le voci di una esistenza, giorni svuotati di senso e il luogo dove egli si è trasferito.
Quel grande cubo bianco che si leva dalle rocce su sottili pilastri, quasi a simboleggiare la vittoria della architettura sulla natura, la casa per lo studio sull’acqua, tra nitide forme e geometria pura, suscita in lui un sentimento che somiglia all’ amore ma che non lo e’, privo di slanci e del desiderio di essere amato.
Rinchiuso in una casa arrampicata sulla scogliera senza vedere l’ oceano, in attesa del ritorno della moglie Mim, che un giorno se ne e’ andata, ne segue le tracce, un quaderno contenente pensieri vaghi e dissolti, ascolta voci che gli parlano, infreddolito dall’aria che oltrepassa una grande finestra frantumata, accostandosi a quel pianoforte che ormai ha perso l’essenza del suo talento.
Al risveglio, avvolto in un sonno prolungato, non è triste ma lo diventa sentendosi terribilmente stanco, una stanchezza interiore accompagnata dal desiderio di dormire e di mangiare.
È allora comincia a ricostruire i pezzi della propria esistenza, in quella casa che ha assorbito l’ aspetto di una presenza femminile, Hannah Kallenbach, moglie dell’architetto che l’ha costruita, la cui voce continua
a risuonare nella sua testa, con la sensazione che in momenti diversi lei sia lì, a guardarlo, e gli stia parlando.
Comincia a seguirla senza motivo, terribilmente attratto da lei, un gesto che gli restituisce una sensazione di piacevolezza e di rilassatezza, un’ infatuazione che diviene ossessione, tra il reale e l’ immaginario.
Nasce una storia, del loro tempo insieme, una storia sul tempo, impermeabile al trascorrere dello stesso. Le fa visita di nascosto, un gesto ripetuto e irresistibile, sempre lo stesso, una routine che assomiglia alla sostanza di cui è fatta la sua vita.
Hannah Kallenbach ha alterato il suo senso del tempo, organizzato secondo il sonno e la veglia, adesso segue la ripetitività di un gesto. Vive per vederla, tutto il resto è attesa, pensa a lei in ogni istante, ne spia le strane conversazioni con un misterioso individuo, la sua bellezza lo riporta al senso di un amore giovanile, con una componente tragica.
Che sia sogno o realtà, idea o consapevolezza, il pianista, attraversata un’ esistenza intera, si riappropria di un senso, a cominciare da se’ stesso, da quel buco interiore che non è semplice vuoto, ma assenza da colmare, chiedendosi quali siano le cose in cui valga la pena investire tempo e sentimenti, piccole cose per cui continuare a vivere.
Un romanzo dalle intense connotazioni poetiche, un legame tra spazio e percezione dello stesso in relazione con l’ arte, in particolare la musica, che sappiamo essere un campo di studio caro all’ autrice, la sudafricana Katharine Kilalea.
Di certo la prospettiva del protagonista è interessante e peculiare, la relazione e permeabilità tra forma e sostanza, architettura e musica, la ricerca di un equilibrio tra interiorità ed esteriorità , realtà’ e sogno, volontà e desiderio, di difficile definizione, e collocazione, in una costruzione a tratti eccessivamente teorica e vaga, ma di sicuro valore letterario.