Narrativa straniera Romanzi Una mattina di ottobre
 

Una mattina di ottobre Una mattina di ottobre

Una mattina di ottobre

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L'alba color acciaio è fredda come la pioggia sottile che si deposita silenziosa tra i suoi capelli e le scivola lungo il collo. Chiara Ravello però ha smesso di farci caso nell'istante in cui si è inoltrata nel quartiere ebraico. Ha come la sensazione che quei vicoli siano stati svuotati di vita e non rimanga che l'eco di una sofferenza muta. Quando sbuca in una piazza, Chiara vede un camion sul quale sono ammassate diverse persone. Tra di esse, nota una madre seduta accanto al figlio. Le due donne si fissano per alcuni secondi. Non si scambiano nemmeno una parola, basta quello sguardo. Chiara capisce e, all'improvviso, incurante del pericolo, inizia a gridare che quel bambino è suo nipote. Con sua grande sorpresa, i soldati fanno scendere il piccolo e mettono in moto il camion, lasciandoli soli, mano nella mano. Sono passati trent'anni dal rastrellamento del ghetto di Roma e, all'apparenza, Chiara conduce un'esistenza felice. Abita in un bell'appartamento in centro, ha un lavoro che ama, è circondata da amici sinceri. Tuttavia su di lei grava il peso del rimpianto per quanto accaduto con Daniele, il bambino che ha cresciuto come se fosse suo e che poi, una volta adulto, è svanito nel nulla, spezzandole il cuore. E, quando si presenta alla sua porta una ragazza che sostiene di essere la figlia di Daniele, per Chiara arriva il momento di fare i conti con gli errori commessi, con le scelte sbagliate, con i segreti taciuti troppo a lungo.



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Una mattina di ottobre 2021-01-30 17:17:58 luvina
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luvina Opinione inserita da luvina    30 Gennaio, 2021
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16 Ottobre 1943

Per il Giorno della Memoria quest’anno ho scelto un libro che avevo da tempo, “Una mattina di ottobre” di Virginia Baily.
Tutto ha inizio da uno sguardo, quello tra una mamma ebrea su un camion che la porterà via con tutta la famiglia e Chiara, una ragazza romana orfana in contatto con gruppi partigiani. I tedeschi hanno appena rastrellato gli abitanti del Ghetto di Roma, adulti, donne e bambini, intere famiglie quando Chiara intercetta la muta richiesta di una donna che con lo sguardo le affida il suo bambino; allora Chiara gridando ai tedeschi che il bambino è suo nipote lo salva dalla deportazione.
Daniele Levi, questo è il nome del bambino, sarà il protagonista assente di tutto il romanzo anche perché per tre quarti del libro è muto (non si capisce se in seguito allo choc o ad un rifiuto nei confronti di Chiara). Daniele Levi lo conosciamo solo a sprazzi attraverso i ricordi di Chiara, di Simone, di padre Antonio, ma rimane comunque assente perché non ci è dato di conoscere i suoi sentimenti, il suo dolore, ciò che ha provato e il perché è poi diventato il ragazzo che con le sue scelte scellerate ha rovinato la vita di molte persone. Questo è il primo punto debole del romanzo, la mancata caratterizzazione del personaggio Daniele, che entra da protagonista ma esce comprimario. Inspiegabilmente invece è Chiara la vera protagonista, un personaggio verso il quale ho provato da subito una forte antipatia, una donna egoista, tutta incentrata su sé stessa, superficiale, a volte cattiva. L’autrice tenta di mostrarcela come un’eroina che ama moltissimo quel bambino salvato da fine certa (salvo poi rovinargli la vita e tagliarlo fuori dal suo passato e dalla sua identità ebraica) e per tre quarti del racconto si dilunga in storie familiari, paesaggi, avvenimenti, non necessari alla storia; poi, improvvisamente, negli ultimi quattro capitoli tenta di dare un ordine e una spiegazione alle tante domande che il lettore si era posto durante la lettura ma lo fa in maniera confusionaria e soprattutto ci propina un happy end secondo me fuori luogo. Un altro punto debole del romanzo è quindi la prolissità non necessaria, il presentare personaggi anche importanti per lo sviluppo della storia, penso ad esempio a Cecilia, per poi perderli senza una spiegazione o usandone una confusa. L’autrice non approfondisce le dinamiche familiari, l’aspetto psicologico delle azioni lasciando il lettore nell’impossibilità di essere protagonista nella lettura. In tutto il romanzo non ho trovato personaggi di spessore, verso i quali provare empatia, a volte sono poco sviluppati altre sono macchiette (penso a Maria). In questo romanzo ho poi rilevato anche delle sviste, se non dei veri e propri errori: uno è la droga usata negli anni ‘50 in Italia che difficilmente poteva essere eroina, l’altro è che ad un certo punto Maria -”sapeva ormai di dover acquistare i biglietti dal tabaccaio prima di salire sull’autobus”- quando a Roma nel 1973 il biglietto si faceva dal bigliettaio sulla vettura (per inciso costava 50 lire) e solo nei primi anni ‘80 sono state installate le macchinette per timbrare.
Concludendo “Una mattina di ottobre” mi è parsa un’occasione sprecata, l’idea di partenza era buona ma sinceramente è stata male utilizzata da un’autrice che a mio avviso manca di capacità per affrontare determinati argomenti che hanno bisogno di maggior respiro introspettivo.

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