Una forma di vita
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Gioco di specchi
«Quello che nessuno ha detto al processo, ma che abbiamo avvertito tutti, è quanto ci odiano. Se chi è bene in carne può anche suscitare simpatia, gli obesi sono odiati. […] La verità è che siamo i peggiori tossici della terra. Il cibo in alte dosi è una droga più pesante dell’eroina. Strafogarsi è un trip garantito, si hanno sensazioni incredibili, pensieri indescrivibili.»
Tutto ha inizio per caso, tutto ha inizio con il sopraggiungere di una epistola da parte di un soldato di stanza a Baghdad. Il suo nome è Melvin Mapple ed è un giovane che ha prima di tutto bisogno di un po’ di comprensione. È in Amélie Nothomb che cerca questo senso di condivisione e apprezzamento, questo ponte di comunione che possa dargli pace. Perché da quasi un decennio l’uomo si trova sul fronte e, come molti altrui suoi commilitoni, ha maturato una predilezione per l’alimentazione che lo ha portato all’obesità. Lui che è sempre stato un giovane magro e abituato a camminare per le strade d’America con nulla o poco più alla Jack Kerouac, lui che ha provato sostanze di ogni genere, è adesso vittima di un trip superiore a quello di qualunque eroina: il cibo. Non può sottrarsi a questo, il suo corpo per tale e siffatta ragione persiste a ingrassare e continua ad assumere forme e dimensioni sempre più spropositate che non consentono alternative o attenuanti. Ecco allora che ha inizio una interessante corrispondenza epistolare tra lettore dalle forme rotonde e scrittrice dall’occhio acuto, per colmare un vuoto, da un lato, per una naturale e costante predilezione alla gentilezza e all’ascolto, dall’altro. Ma qual è il confine tra finzione e verità? Quale atto di coraggio vi è dietro la fiducia che si cela dietro la parola scritta da un uomo sconosciuto e del quale alcunché è noto? E quanto ancora il tema della disfunzione alimentare può portare a riflessioni sottese relativamente alla tematica alimentare ma anche alla diversità e al diverso?
«È molto difficile capire quando fermarsi. È sempre il famoso problema della frontiera: l’altro attraversa la nostra vita, e bisogna accettare che possa uscirne con la stessa facilità con cui ci è entrato.»
Con “Una forma di vita” Amélie Nothomb dona ai suoi lettori un titolo molto particolare che non può annoverarsi tra i più indimenticabili ma che comunque lascia il segno. In particolare, ciò accade non solo per le problematiche trattate ma anche per lo stile narrativo che si rinnova proponendo una forma nuova rispetto alla canonica forma dialogica che le appartiene e più precisamente parliamo dell’epistola. In questo titolo è infatti questo il primo elemento che colpisce e che solletica il conoscitore. A questo primo elemento si aggiunge il tema dei soldati americani e di questa loro propensione all’ingrassare effettivamente riscontrato negli anni del conflitto. La Nothomb trae infatti spunto da un articolo realmente letto in merito e che appunto denunciava questo fatto. Tornando all’epistola questa si esprime e propone con precisione e bellezza a chi legge che viene rapito dallo scambio e al contempo dallo stesso arricchito.
Lo sviluppo è lineare, logico e consequenziale. Non manca il classico smacco nella narrazione e nemmeno un finale che, per quanto ai limiti del surreale, ci riporta alla filosofia altro carattere proprio della belga. L’epilogo ci lascia innanzi a un’apertura e a un quesito che resta in sospeso e lascia in sospeso. Un perfetto gioco di specchi in un ben architettato gioco di specchi.
«Tu lo sai: se scrivi ogni giorno della tua vita come un’indemoniata è perché hai bisogno di un’uscita d’emergenza. Essere uno scrittore per te significa cercare disperatamente la porta d’uscita. Una peripezia che devi alla tua incoscienza ti ha permesso di trovarla. Una peripezia che devi alla tua incoscienza ti ha permesso di trovarla. […] E la tua vita impossibile sarà finita. Ti sarai liberata dal tuo principale problema. Te stessa.»
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Un'illusione più vera del vero
Questo breve romanzo è un gioco di specchi che rimandano l'immagine della Nothomb e delle migliaia di lettori con cui la scrittrice si diletta a intrattenere una corrispondenza.
Non per email, ma con le vecchie lettere cartacee, quelle che prima di essere aperte si osservano e si soppesano con curiosità.
Nel caso in questione, si tratta di un lettore oversize, un drogato di cibo che riempie il vuoto della sua vita ingozzandosi con foga.
E' uno che “vuole esistere per lei”, che ha scelto lei per chiedere un aiuto particolare: evadere dal suo mondo isolato e squallido per vivere nella sua mente.
Scrive, e ingrassa compulsivamente, in una smania che è al contempo costruzione e autodistruzione. L'adipe è volontà di vivere e morire, la ciccia debordante diventa persino la donna della sua vita, che di notte, al buio, gli parla dolcemente: “Se nella mia esistenza ci fossero soltanto le notti, sarei l'uomo più felice del mondo”.
Come resistere alla sublimazione di ciò che normalmente ispira ripugnanza? E Amélie non resiste, sta al gioco ed entra in perfetta sintonia con il suo corrispondente obeso. Le ispira affetto, voglia di sapere e di soccorrere.
C'è una storia nella storia, c'è la scrittrice affascinata dalla metamorfosi di un corpo ipernutrito, con la sensibilità morbosa di chi ha sofferto di disturbi alimentari.
Questo libro emoziona, perché riesce a racchiudere in poche pagine un'illusione struggente che diventa più vera del vero, e lo stile della Nothomb possiede un'eco che ricorda le lapidarie e preziose frasi di Victor Hugo.
Il finale, dal punto di vista della trama, è forse un po' superficiale, ma rivela molto della scrittrice, della sua “vita impossibile”, dei suoi tormenti: “Essere uno scrittore per te significa cercare disperatamente la porta d'uscita”.
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Soldato americano
Mi sono imbattuta in questo romanzo per caso.
Era un poì' che avevo voglia di leggere un romanzo della Nothomb e ne ho scelto uno, così, senza neanche leggere la trama.
Avevo sentito dire che la Nothomb o la ami o la odi.. Sono sincera, io non l'ho ancora capito.
Certamente questo romanzo parla di una forma di vita che non è sana, non è attiva, ma è quella di un obeso..
Un uomo che arriva ad un punto dove è impossibile tornare indietro, perchè il cibo è la peggior droga che si può trovare in commercio e oltretutto a buon mercato.
Un uomo che è anche un soldato..
Questa è la parte che mi ha stupito di più. Io i soldati me li immaginavo cotti dal sole, con sguardi tristi, ma determinati, ma soprattutto magri.
Non facce rubiconde dove non si capisce dove inizia il collo (perchè il collo scompare, su questo punto è stato molto esplicita la Nothomb), non pantaloni taglia XXXL, se non XXXXL...
Eppure non sono riuscita a staccare gli occhi da quelle pagine che mi raccontavano di una malattia inconsapevole, e descritta dalla Nothomb, ha preso sembianze ancora più agghiacianti, come di una persona che vive dentro di te e si nutre tramite te...
Pazzesco..
Non so nemmeno con descrivere lo stile della Nothomb, che in questo romanzo riporta le lettere del soldato e le commenta con un misto di ironia, cinismo e orrore indescrivibile..
Sono arrivata ad una conclusione: per essere una brava artista devi avere un modo particolare di vedere la realtà e la Nothomb ce l'ha.
Alcuni la definirebbero pazzia, molti altri genio.
Io propendo per la seconda.
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Le persone sono paesi
Nel bene o nel male i libri della Nothomb non lasciano indifferenti. Sono libri diversi, spiazzanti, così poco convenzionali da attirare su di loro grandi elogi o grandi critiche. Io non sono un'esperta di questa autrice, è solamente il suo secondo libro che leggo, e il primo, ahimè, non mi era piaciuto per niente. "Una forma di vita" invece devo dire che mi ha abbastanza colpita. E' redatto in prima persona dall'autrice stessa, la protagonista è lei, e non si capisce bene se la storia che sta raccontando è un qualcosa che le è davvero accaduto oppure no. Romanzo o autobiografia? Storia vera o finzione? Nessuna di queste ipotesi. Il libro è un ibrido puro, composto da realtà e menzogne; momenti di lucida riflessione si alternano ad assurde risoluzioni. Insomma... in sole 128 pagine si assisterà ad una storia decisamente particolare che è riuscita a destare il mio interesse: il rapporto epistolare tra l'autrice del libro e un soldato americano obeso, che fa dei suoi 130 chili di troppo una quasi virtù. Tra filosofeggiammenti sulla necessità di strafogarsi e sulla vita in generale la narrazione procede bene, incuriosisce e stupisce. Giunta alle ultime pagine avrei avuto voglia di un finale ad effetto, pensavo e ripensavo a come l'autrice sarebbe riuscita a trarsi d'impaccio e concludere questa strampalata vicenda. Purtroppo invece mi sono ritrovata dinanzi ad un non-finale, che mi ha lasciata alquanto perplessa.
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L'insostenibile leggerezza di un uomo di 130kg e a
Una forma di vita? Non è un romanzo, ma un modo originale, delicato, geniale di raccontare
un dramma che riguarda sempre più persone: l’obesità.
Amèlie Nothomb , ama curare, come pochi colleghi, la posta dei propri lettori. Un giorno, fra le varie missive che riceve quotidianamente,c’è ne una che le salta subito agli occhi. La lettera è di un soldato americano d’istanza in Iraq, Melvin Mapple, che si rivela un suo grande fan.
Amèlie, divertita, sorpresa e lusingata dallo scoprire un lettore così accanito fra le truppe statunitensi, accetta lo scambio epistolare. L’amicizia di penna, fra la scrittrice belga e il soldato di Baltimora si stringe sempre di più , Melvin mette al corrente Amèlie di un problema che si stà dimostrando sconvolgente, quasi come l’eroina in Vietnam, per i soldati americani : l’obesità. Lo junk food sembra essere entrato nelle menti non solo nelle membra dei militari. La frustrazione, la depressione , il male di vivere vengono somatizzati in chili di grasso, la pinguedine fa da cuscinetto, da scudo fra loro e il resto del mondo.
Amèlie è sconvolta , vorrebbe aiutare il suo amico ingrassato di 130 chili nei sei anni di guerra, fra il serio e il faceto gli suggerisce , come ha fatto una ragazza anoressica a Parigi, di fotografare la trasformazione del suo corpo, di fare delle sue braccia,gambe,pancia,natiche orrendamente sformate un’ opera d’arte da esporre in una galleria, perché tutti sappiano,vedano; perché lui che non riesce a fermarsi in qualche modo dia senso a tutto questo.
Melvin accetta, si fotografa, le sue foto sono esposte in una galleria d’arte in Belgio, ma a questo punto lo scambio epistolare si interrompe. Amèlie è preoccupata, chiede aiuto all’Editore americano affinchè la aiuti e ritrovare il soldato: che cosa sarà accaduto a Melvin Mapple?